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Le conseguenze della guerra sugli studenti di Terra Santa

May Kurzum, insegnate di una scuola cattolica di Nazareth, racconta ad Interris.it gli effetti del conflitto negli studenti  

La guerra è un’azione devastante che colpisce indistintamente chiunque ne sia coinvolto, compresi i bambini. All’improvviso la loro vita viene sconvolta, la quotidianità cambia e nulla è più così certo, come invece lo era prima. Tutto ciò sta accadendo anche nella guerra in corso tra Israele e Palestina, dove i più giovani non solo spettatori, ma protagonisti di un presente con delle ferite profonde da rimarginare.

L’intervista

Interris.it ha raggiunto telefonicamente May Kurzum, coordinatrice dell’insegnanti di inglese della scuola delle sorelle salesiane di Nazareth. Questo istituto cattolico ospita circa 1400 studenti di religione cristiana e musulmana, dalla scuola materna a quella secondaria di secondo grado.

May, come questa guerra influisce sulla vita degli studenti?

“Dopo un primo periodo di didattica a distanza, tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre siamo tornati a scuola. Da subito, noi docenti ci siamo accorti che gli alunni, indistintamente dal grado scolastico, manifestavano delle reazioni spropositate, una sorta di iperattività e una accentuata mancanza di concentrazione che tuttora impedisce loro di seguire con attenzione le lezioni”.

A cosa è dovuto questo atteggiamento?

“Nazareth non è una città pericolosa, ma nonostante ciò le conseguenze del conflitto ci raggiungono anche qui. A partire dal 7 ottobre gli spostamenti sono molto limitati, non si lascia la città e si preferisce stare in casa. Questa reclusione non fa bene ai giovani che da un giorno all’altro hanno visto cambiare drasticamente la loro vita e hanno dovuto rimodulare la loro libertà”.

Il questa atmosfera, come riuscite a insegnare?

“Non è sempre facile, ma la didattica deve andare avanti, perché noi docenti abbiamo il dovere di ridare a questi alunni un senso di normalità, rispettando la routine. Il nostro compito non è semplice e istruire in un clima con molte distrazioni è davvero un’impresa molto difficile”.

Esiste la preoccupazione che questo conflitto possa infondere violenza anche nei più giovani?

“Purtroppo sì perché stando molto in casa, si passa anche più tempo davanti alla tv. I telegiornali e ogni programma televisivo mostrano le immagini della guerra in corso e della violenza che ha scatenato da entrambe le parti. Abbiamo anche visto come questa ondata di odio possa tradursi in un’attitudine da parte dei ragazzi alla violenza. Per questo è importante parlare di pace e di fratellanza, senza mai però scendere in discorsi di stampo politico”.

A lungo andare quali potrebbero essere le conseguenze che dovranno subire questi studenti?

“Questa domanda racchiude in sé la preoccupazione che gli effetti della guerra in corso possano essere duraturi. Già ora sappiamo di studenti universitari che sono stati arrestati solamente per avere detto la propria opinione e la nostra paura è che questo possa accadere questo anche in futuro. I social media stanno allontanando le nuove generazioni da valori come il rispetto verso gli altri e mi preoccupa pensare che possa essere tolta loro la libertà di esprimere il proprio pensiero come invece è giusto fare sempre nel rispetto dell’altro”.

I ragazzi vogliono sentire parlare di pace?

“Io credo di sì perché loro, come chiunque altro, hanno bisogno di un ritorno alla normalità.  Per promuovere la pace la scuola ha proposto la giornata mondiale della pace. Agli alunni è stato chiesto di indossare abiti bianchi e sono state svolte attività che avevano come tema centrale quello della pace nel mondo. Gli studenti hanno risposto con molto entusiasmo, i bambini a loro modo e i più grandi discutendo in molto profondo. Questo atteggiamento ci fa ben sperare perché non dimentichiamoci che i nostri giovani studenti saranno gli adulti del domani”.

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