L'altra faccia della crisi siriana

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La crisi siriana riesplode con tutto il suo carico di drammi umanitari dopo l’escalation di combattimenti tra la Turchia, che senza un mandato internazionale occupa la provincia siriana di Idlib in sostegno dei gruppi ribelli, molti dei quali di matrice jihadista, e l’esercito siriano che, sostenuto dalla Russia, intende riconquistare le ultime roccaforti in mano alle milizie anti-governative. Ankara ha reagito al raid aereo siriano della scorsa settimana, in cui sono morti 33 dei suoi soldati, con l’operazione “Scudo di primavera”, un’offensiva senza precedenti contro le truppe di Damasco, a seguito della quale, secondo fonti turche, sono stati uccisi 2.100 soldati e distrutti 300 mezzi dell’esercito lealista siriano.

Un quadro complesso

Il presidente turco Erdogan ha persino alzato i toni con la Russia, chiedendo a Putin, in un colloquio telefonico, di “farsi da parte” in Siria, ma Mosca ha già fatto capire che non intende mollare il suo appoggio al governo di Assad. Come membro della Nato Erdogan ha incassato la solidarietà dalle cancellerie dei principali Paesi membri dell’Alleanza Atlantica, che però non hanno alcuna intensione di farsi coinvolgere in questo teatro di guerra. La situazione geopolitica è dunque molto complessa e vede l’Europa di nuovo incapace di esprimere una posizione unica forte al tavolo delle diplomazie, così come è stato in questi lunghi otto anni di guerra in Siria che ha causato almeno 350 mila vittime e oltre 6 milioni di follati interni e altrettanti rifugiati all’estero. L’assenza dell’Europa e sua l’incapacità di influire sugli eventi è stata messa a fuoco anche da molti osservatori che hanno inoltre evidenziato la la dura equazione guerra-rifugiati.

Livelli di guardia

In questo quadro la Turchia è tornata ad usare i profughi siriani come pedina di scambio per avere mani libere nello scacchiere siriano. Apriremo le nostre frontiere con l’Europa e faremo passare i migranti, ha minacciato Erdogan dando seguito con i fatti alle sue parole. Il risultato è che da sabato almeno 10mila tra siriani, afghani e pakistani si sono accalcati alla frontiera nord-orientale della Grecia e altre centinaia di rifugiati hanno raggiunto con piccole imbarcazioni le isole greche davanti alla costa turca, con i centri di accoglienza già sovraffollati. L'agenzia europea per il controllo delle frontiere ha portato ad 'alto' il livello di allerta su tutti confini Ue con la Turchia. Inoltre, su richiesta di Atene, è stato disposto l'invio di altre attrezzature tecniche e uomini verso la Grecia, mentre il commissario Ue per l'immigrazione, Margaritis Schinas, ha chiesto alla presidenza di turno croata di convocare urgentemente una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri dell'interno per discutere dalla situazione venutasi a creare con la Turchia.

Allarme generale

Dal canto suo il ministro dell'Interno turco, Suleyman Soylu, ha twittato che fino a questa mattina sono già 76.358 migranti che hanno lasciato la Turchia, via la provincia di Edirne, dove si trova la città di Pazarkule, nel nord della Turchia, al confine tra Grecia e Bulgaria. La Turchia ospita 3,6 milioni di migranti e negli ultimi anni il numero di afghani che è entrato nel Paese è salito vertiginosamente. Fonti del quotidiano Avvenire hanno riferito che alcuni pullman sono stati messi a disposizione direttamente dal governo di Ankara, ben felice di favorire lo spostamento di migranti, non solo siriani, ma anche afghani e pachistani. Intanto anche il Papa, dopo l’Angelus, ha esternato la sua preoccupazione, dicendosi rattristato per i tanti costretti a fuggire a causa della guerra e ha invitato a pregare per loro.

Preoccupazione per i cristiani

Ora gli occhi della comunità internazionale sono puntati all’incontro che si dovrebbe tenere il 5 o 6 marzo a Mosca tra Putin ed Erdogan. Il Cremlino ha fatto sapere che “tutte le questioni incalzanti” riguardanti la Siria “saranno discusse in dettaglio al summit, russo-turco”. In questa nuova escalation della guerra in Siria un pensiero particolare va alla comunità cristiana, che in questi anni ha visto decine di migliaia di suoi appartenenti fuggire verso i Paesi occidentali. Una perdita enorme per il complesso mosaico siriano di etnie e religioni, che vedeva nei cristiani uno dei collanti più solidi della società nonché strumento di pacificazione. I fedeli infatti hanno sempre goduto di un’ampia libertà religiosa, fino allo scoppio della guerra civile. Tuttavia, ad oggi, quella siriana è una della Chiese più perseguitate al mondo, tanti sono stati i martiri e le violenze nelle aree controllate dai jihadisti. Nuove nuvole nere rischiano quindi di addensarsi sul destino dei cristiani, proprio ora che erano tornati a lanciare segnali di speranza e vitalità, dopo la sconfitta del sedicente Stato Islamico e il ritiro dei gruppi integralisti da Aleppo.

Marco Guerra: