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La Cina rischia una crisi economica senza pari

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La Cina rischia una imminente crisi economica a causa della trentennale politica del figlio unico. E' del 1979 la famigerata legge per “migliorare la vita delle persone” (come disse al tempo Deng Xiaoping) e Pechino si è vantata di avere impedito in 35 anni la nascita di 400 milioni di bambini, attraverso sterilizzazioni e aborti forzati. Ora però quei bambini farebbero comodo perché – a partire dagli anni Novanta – il tasso di natalità è sceso al di sotto del tasso di ricambio generazionale (2,1 figli per donna), cosa che provocherà una crisi economica. Lo rivela uno studio condotto da Yi Fuxian, scienziato alla University of Wisconsin-Madison, che equipara la situazione della Cina attuale a quella – molto simile – del Giappone negli anni ’90.

In Cina, nonostante dal 2016 il governo di pechino permetta alle coppie di avere fino a due figli – i cinesi sono diventati restii ad avere anche un figlio solo. Dal 2000 al 2016, infatti, il tasso di fertilità in Cina è stato in media dell’1,18, il più basso al mondo. L’anno scorso nel Paese vi sono state 2,5 milioni di nascite in meno e la popolazione è scesa di 1,27 milioni. Questo fenomeno produce due problemi con gravi risvolti economici: si riduce la popolazione e conseguentemente anche la forza lavoro; ma, allo stesso tempo, aumenta la percentuale di anziani.

Il Giappone del post boom economico

Come avvenne nel ricco Giappone degli anni '90. il Paese del Sol levante è stato investito da una crisi demografica con un’età media di 38,5 anni e il numero di ultra65enni accresciuto del 18%. Il declino di giovani nella forza lavoro ha portato a una riduzione delle manifatture e dell’industria; il loro invecchiamento ha generato un declino nella produzione e nell’innovazione. In tal modo, dalla crisi demografica si è passati a una crisi economica. Il risultato è stato che la percentuale di manufatti giapponesi nell’export globale è scesa dal 12,5% nel 1993 al 5,2% nel 2017.

Inoltre, prosegue lo studio riportato dal Sir, un aumento degli anziani porta a una riduzione dei risparmi – dal 1991 al 2016, il risparmio in Giappone è sceso dal 35,7% (nel 1991) al 24,5% (nel 2016) –  e all'aumento del debito statale conseguente alla crescita delle spese mediche e pensionistiche. In percentuale di Pil (prodotto interno lordo), le spese per la sanità in Giappone sono aumentate dal 4,4% all’8,6 nel 2014; le spese per la pensione dal 4,9 (nel 1991) al 10,2 (nel 2013); il debito statale è cresciuto dal 63% (nel 1991) al 236% nel 2016.

In Cina

Per Yi Fuxin, la Cina di oggi sta ricalcando la caduta economica e sociale del Giappone degli anni ’90. E siccome allora il tasso di fecondità in Giappone era di 1,42, mentre quello cinese attuale è più basso, ciò significa che la crisi di Pechino potrebbe essere molto più dura di quella di Tokyo.

Lo dicono le statistiche. Nel 2015 la Cina aveva 6,9 lavoratori di età fra 20 e 64 anni, che sostenevano un anziano di 65 anni o più. Nel 2030 ci dovrebbero essere 3,6 lavoratori per anziano e nel 2050 solo 1,7 lavoratori. Poiché attualmente nel Paese non vi sono reti di sicurezza sociale o familiari, se ciò non dovesse cambiare, la crisi si evolverebbe “in una catastrofe umanitaria” e siccome le donne vivono più degli uomini, la crisi sarà sofferta soprattutto dalle donne.

Gli Stati Uniti hanno una situazione più positiva. Nel 2018 l’età media negli Usa è stata di 38 anni; nel 2030 sarà 40; nel 2050 sarà 44. Invece in Cina i valori sono: 40 anni nel 2018; 46 nel 2030; 56 nel 2050. Siccome l’età dell’innovazione è calcolata fino ai 39 anni, è chiaro che se la Cina oggi riesce ancora a produrre e inventare e a competere con gli Usa, conclude lo studio, nel prossimo futuro la sua innovazione sarà stagnante.

Milena Castigli: