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Italia spaccata a metà fra carnivori e vegani

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Le abitudini alimentari del nostro Paese stanno conoscendo, oggi, una curiosa forbice che si apre sempre più per soddisfare le esigenze del palato e le nuove tendenze: da un lato i vegani e i vegetariani, dall’altro i cultori della carne e delle steakhouse. Entrambe le tipologie sono in una decisa fase di crescita commerciale, con il corrispondente incremento di offerte e scelte a livello di ristorazione. Ognuna racchiude una vera cultura riguardo la preparazione e la consumazione dei prodotti, una nomenclatura e una filosofia con attenzione anche all’oggettistica di riferimento, divenendo uno stile di vita.

Anche l'occhio vuole la sua parte

Sull’onda del successo delle steakhouse negli Usa e in Inghilterra (confermato da alcune note catene a livello nazionale e internazionale), il settore è in forte espansione e concentrarsi solo sulla buona cucina, senza sviluppare l’arredamento e l’ambientazione necessari, rischia di far fallire il progetto commerciale. L’arredamento a tema, quindi, è molto importante e i clienti amano essere circondati da legni compatti, da sgabelli e tavoli di spessore, dai divani; il tutto in colori scuri per ricreare un ambiente ammiccante al far west, in uno stile abbastanza rustico. Altre bisteccherie ricalcano lo stile del pub inglese o delle antiche birrerie austriache e tedesche; il tutto circondato da quadri, scenografie vintage, piccoli oggetti curiosi che testimoniano il tempo che fu e, a volte, da luci soffuse che regalano un’atmosfera più intima. La nomenclatura è essenziale e il neologismo “bisteccheria” (sinonimo di steakhouse) indica un ristorante dove si serve carne di ogni tipo, alla griglia o arrosto. La scelta fra l’insegna italiana o inglese è un’ardua e attenta strategia di mercato. Il vocabolo straniero soddisfa l’esigenza esterofila ma deve fare i conti con uno dei pochi settori dove l’essere italiano ancora è motivo di vanto (cibo e cucina) e il termine “indigeno” sa molto di casareccio (altra necessità molto sentita).

Il mondo vegano

Il vegano non consuma animali e, a differenza dei vegetariani, estende il divieto anche ai prodotti relativi (uova, latticini, miele) perché ritiene che, per ottenerli, vi sia lo sfruttamento dell’animale stesso. In linea con questo principio, rifiuta anche gli elementi, estranei all’alimentazione ma di natura animale, presenti nei cosmetici, nell’arredamento, nell’abbigliamento (accettando solo capi in fibre vegetali e artificiali), oggetti per tutti i giorni e i luoghi che privano della libertà (zoo, circhi, corride). I vegani consumano, quindi, solo prodotti cruelty free (non testati o sperimentati su animali). Evitano anche i farmaci in cui siano contenuti eccipienti animali. In questo senso si inquadrano la cucina plant based (vegetale, senza utilizzo di animali e loro derivati), gli arredamenti ottenuti riciclando altri materiali e le attrezzature in plastica completamente biodegradabile. L’aumento dei vegani è stato considerevole negli ultimi anni e si attesta, in Italia, quasi al milione di unità (i vegetariani sono circa 5 milioni). E’ cresciuta, di pari passo, un’attenzione maggiore nei confronti del pianeta e degli animali, al punto di coinvolgere non solo l’aspetto alimentare ma anche quello culturale, con eventi e libri del settore. I motivi principali che ne sono alla base riguardano la scelta etica, salutista ed ecologista (possono sussistere anche motivi di carattere religioso). Per aprire un ristorante vegano occorre essere creativi, originali, tecnologicamente al passo con i tempi e con i processi più rispettosi dell’ambiente e del mondo animale. Tale tecnologia spinge, inevitabilmente, al modernariato che, in fatto di accessori e arredamento, è agli antipodi della bisteccheria. Unico elemento in comune è il riferimento alle novità provenienti dagli Usa, secondo le loro nuove tendenze.

Non solo fame ma emozioni

La cucina italiana, quindi, in un’epoca di grande successo anche delle trasmissioni televisive dedicate, procede spedita attraverso queste due direttrici, in cui si fondano esigenze morali, alimentari e una componente di emulazione delle tendenze d’oltreoceano. Le spiegazioni del successo di questi due fronti differenti non sono facilmente spiegabili; probabilmente è frutto di due tendenze “concorrenti” che si fronteggiano e che seducono i clienti con le scenografie dei locali (pur non facendo venir meno le rispettabili scelte alimentari, etiche e salutiste). Del resto, gli esperti di “food marketing” parlano di “food esperienziale”, cioè dell’uomo contemporaneo che non mangia più per necessità ma per avere un’emozione. Ecco perché occorre prestare massima attenzione sull’idea, la location, l’arredamento, gli accessori, la nomenclatura e l’aspetto sensoriale. Non tutti i ristoranti, tuttavia, sono al vertice nella scelta degli alimenti; rimarrà, per questa moderna figura di essere umano, anche il desiderio e l’esigenza di mangiar secondo qualità? L’emozione rimarrà ancorata alla scenografia dell’ambiente o avrà di nuovo necessità della qualità?

Marco Managò: