Issa Abu Jaber: “La mia missione? Parlare in modo concreto di pace”

Issa Abu Jaber

A sinistra Issa Abu Jaber. A destra il muro di Betlemme

Il Natale si sta avvicinando e Betlemme è completamente vuota. La maggior parte degli esercizi commerciali sono chiusi e i cittadini vivono la nascita di Gesù con la speranza che quest’anno il bambinello, nato in una mangiatoia, possa donare la pace del cuore. In Palestina, anche i giovani attendono il Natale con fiducia, e l’unico dono che desiderano è poter vivere senza costrizioni e barriere.

L’intervista

Interris.it ne ha parlato con Issa Abu Jaber, giovane ventottenne, nato e cresciuto a Betlemme, che sta frequentando un master in pedagogia critica e pratiche comunitarie. Lui porta con sé tante aspettative e guarda in faccia il suo futuro con il desiderio di poterle concretizzare.

Issa, rispetto al periodo pre conflitto, la ricerca del lavoro è più complicata?

“In generale in Palestina non è semplice collocarsi professionalmente perché si tratta di una terra fatta sopratutto di turismo e dove mancano per esempio le industrie. Da ottobre però la situazione è molto peggiorata perché molte attività hanno chiuso o sono in difficoltà economica. È diventato molto difficile muoversi anche tra città palestinesi e ancora di più passare i check point per andare per esempio nella vicina Gerusalemme. In precedenza era necessario un motivo convincente per ottenere un permesso, ma oggi questo non basta. Noi viviamo i pochi spostamenti possibili con molta paura che ci possa improvvisamente capitare qualcosa”.

Tu che lavoro stai cercando?

“Io vorrei diventare un insegnate di religione cattolica e sto tentando di entrare in qualche scuola a Ramallah, città palestinese che offre molte più opportunità rispetto alla stessa Betlemme. Io voglio essere un catechista capace di insegnare la religione in maniera critica e creativa per migliorare il modo in cui i ragazzi vivono la loro vita cristiana. Il mio progetto è molto ambizioso, ma la mia missione è quella di parlare in modo concreto di pace, che è uno dei frutti più importanti dello Spirito Santo”.

Come è variata la vita di voi studenti?

“Il primo importante cambiamento è la modalità di erogazione della didattica che ora è  online. Il corso di pedagogia invece è in presenza perché c’è una parte pratica. I compagni provenienti da Gerusalemme però, non possono raggiungere Betlemme e devono seguire tutti i corsi online, e questo compromette il loro stesso apprendimento”.

Come è cambiata la vostra quotidianità?

“In Betlemme possiamo continuare ad uscire e per esempio trovarci con gli amici per cenare assieme. Il problema è che la nostra città vive di turismo e molti di noi hanno perso il loro lavoro e sono piombati in una situazione economica molto critica. I soldi per trascorrere una serata fuori scarseggiano e di conseguenza anche gli stessi ristoranti si sono trovati a chiudere per mancanza di turisti e di clienti locali”.

Il Natale è alle porte. Come vi state preparando?

“Il nostro cuore attende la nascita di Gesù, in quanto solo lui può portare la pace di cui abbiamo bisogno. A differenza degli scorsi anni, Betlemme è vuota, le luci sono spente e saranno molte le famiglie che non potranno permettersi di festeggiarlo. Stiamo vivendo l’avvicinarsi del Natale nella sobrietà, ma anche con una profonda tristezza”.

Elena Padovan: