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“Io, chirurgo, fra gli ultimi del Guatemala”

Dal consumismo alla povertà assoluta. Si muovono fra queste due estremi la vita e la carriera di Matteo Campana. Chirurgo plastico romano, dal 2014 si reca in Guatemala in missione umanitaria con la onlus “Sulla strada“. Un'esperienza fortemente voluta, svolta all'interno dell'ospedale statunitense “San Raymundo” di Ilano de la Virgen, che l'organizzazione no profit affitta un mese ogni anno. Lì si adopera per i bambini vittime di esplosioni durante la fabbricazione di fuochi d'artificio e per gli ex affiliati nel narcotraffico (spesso minori) deturpati da tatuaggi identificativi, prima di rientrare in Italia e rituffarsi nella routine, forte dell'esperienza – soprattutto umana – maturata. Un aiuto al prossimo che ben si sposa con lo spirito di “servizio” che, domani, in occasione del Giovedì Santo, saremo chiamati a fare nostro. In Terris lo ha intervistato. 

Come nasce il suo impegno umanitario?
“La voglia di partire si è sviluppata in parallelo all'interesse per la chirurgia plastica e per il trattamento delle malformazioni infantili. Ma, tra una cosa e l'altra, rischiava di restare relegata nel campo delle buone intenzioni. Decisivo è stato l'incontro con un maestro come Aurelio Caponetti e con Paolo Rosa e Carlo Sansonetti, colleghi che già da qualche anno andavano in Guatemala. Dopo esserci stato per la prima volta mi sono appassionato ed è cominciata questa avventura”. 

La onlus è già presente sul territorio o parte insieme a voi?
“Loro sono lì tutto l'anno. Sono riusciti a realizzare una scuola, per l'alfabetizzazione di minori e non, e un ambulatorio odontoiatrico con consultorio. Poi, per un mese, affittano l'ospedale 'San Raymundo', nel quale, oltre a noi, ci sono chirurghi generali, urologi, ginecologi, dentisti, specialisti di medicina interna e così via…”

Lì come vi trovate, avete tutto a disposizione o incontrate difficoltà pratiche?
“Io porto i miei 'ferri' da Roma. In generale cerchiamo di garantire gli stessi standard qualitativi che assicuriamo ai nostri pazienti in Italia, sia per quanto riguarda le attrezzature che sotto il profilo delle professionalità, non solo mediche. Chiaramente la situazione è particolare, possono verificarsi inconvenienti. E' successo, ad esempio, che durante un'operazione sia mancata l'elettricità per qualche minuto, costringendo l'anestetista a ventilare manualmente. Sappiamo che l'imprevisto è dietro l'angolo e siamo pronti a intervenire in questi casi”. 

Parliamo di territori particolari, dove è forte la presenza dei cartelli del narcotraffico…
“Sì. Infatti una delle attività che svolgiamo riguarda la rimozione di segni distintivi dal corpo di ex affiliati o semplici tossicodipendenti. Questi marchi li rendono riconoscibili, impedendogli di trovare un lavoro. Non disponendo, sul territorio, di tecnologie avanzate siamo costretti a rimediare come possiamo”. 

Nei bambini quali sono i problemi più frequenti che si trova a dover trattare?
“Soprattutto ustioni, visto l'elevato numero di bambini che lavora nelle fabbriche di fuochi d'artificio. Questi minori trasportano ingenti quantità di polvere da sparo; con l'elettricità che scarseggia si trovano a dover usare lampade a olio o a gas, quindi gli incidenti possono verificarsi. Se l'esplosione o l'incendio avviene nel periodo in cui ci troviamo lì possiamo intervenire subito, altrimenti – ed è la maggioranza dei casi – dobbiamo operare l'esito dell'ustione. L'obiettivo è cercare di restituire dignità e funzionalità. Parliamo di problemi che non sono solo invalidanti da un punto di vista fisico ma hanno anche ripercussioni sociali e psicologiche”. 

Esperienze come queste scalfiscono l'apparente impassibilità del medico, abituato a mantenere un certo distacco rispetto al travaglio emotivo di un malato?
“Le dico una cosa: quello che ci portiamo via in termini emotivi e psicologici è molto di più di quanto lasciamo. Quando ti trovi davanti a popolazioni di cui, spesso, nemmeno conosci la lingua è importante creare un clima di reciproca fiducia. L'empatia è fondamentale, perché non credo che l'atto medico si esaurisca con l'intervento riparativo”. 

La vostra attività, in un certo senso, fa giustizia alla chirurgia plastica, che in Italia viene spesso associata alla ricchezza e al mondo dello spettacolo…
“E' vero. Si pensa che la chirurgia plastica si esaurisca con quella estetica. Nei fatti noi ci occupiamo anche di malformazioni, ustioni e degli esiti delle grandi obesità; senza dimenticare le ricostruzioni del seno dopo l'asportazione di tumori. E, in ogni caso, anche la chirurgia estetica ha la sua importanza, perché non riguarda solo l'esterno ma tocca anche le corde interiori di una persona. Pensiamo, ad esempio, a quali sofferenze può provocare un difetto fisico visibile… Il ritocco per un vezzo o per un capriccio, è vero, non manca nella nostra attività, ma non esiste solo quello”.  

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