Orribile, inaccettabile, contro natura. Eppure succede sempre più spesso tanto che, a cadenza drammaticamente più ravvicinata, le cronache ne parlano, lo riportano, lo commentano… “Figlicidio”, termine tecnico-giornalistico per indicare forse più atroce che un uomo o una donna possano commettere: fare del male alla propria prole, fino a ucciderla. Accade, sì, con frequenza: l'ultimo caso solo ieri, quando la piccola Gloria, di appena 2 anni, è stata uccisa da suo papà che, subito dopo, ha cercato di togliersi la vita. Solo il caso più recente fra quelli saliti alla ribalta dei media nazionali e che rappresentano solo una parte degli infanticidi che, ogni giorno, si ripetono nel nostro Paese. Anche perché, in questi drammi, c'è tanto di sommerso: “Sono tragedie della genitorialità – ha detto lo psichiatra Vittorio Lingiardi, professore di Psicologia dinamica alla Sapienza, in un'intervista concessa a 'Repubblica' – che hanno alle spalle storie terribili di maltrattamento e trascuratezza, traumi subiti e poi inflitti. A queste aggiungerei dei gravi elementi di contesto che possono concorrere a innescare la violenza: l'assunzione di droghe o di alcol, la miseria economica e spesso culturale, l'esasperazione di un conflitto di coppia”.
L'allarme
In sostanza, dietro al figlicidio si celerebbero dinamiche familiari fra le più disparate, segno di una società che vive le proprie difficoltà in una sorta di invisibilità, raggiungendo spesso l'attenzione della comunità quando il tutto ha raggiunto livelli di saturazione. Va da sé che, come precisato ancora dal professor Lingiardi, “essere genitori dovrebbe essere una scelta. E una scelta implica sempre la competenza e la responsabilità. La genitorialità è soprattutto una funzione mentale e affettiva legata alla capacità di fornire cure”. Ecco perché, in alcune (anzi, in diverse) circostanze si parla di “tragedie annunciate” e si rinnova il difetto che ci spinge a qualcosa di “clinicamente poco serio”, ovvero “a generalizzare a partire dai fatti di cronaca”: situazioni familiari al limite, episodi magari ripetuti di violenze o di difficoltà coniugali che, giunte all'esasperazione, esplodono in violenza. E' successo a Cardito, con vittima un bambino di 8 anni; è accaduto di nuovo a Sant'Egidio del Monte Albino, non più tardi di ieri, stavolta a una bimba di appena 8 mesi. Stessa tragica sorte per loro, sul cui corpo sono stati riscontrati segni di violenza. Storie che si ripetono e che, il più delle volte, scaturiscono da situazioni familiari di disagio o di forte instabilità, molte volte note ad autorità e vicinato.
Ecco perché, a fronte di quattro casi in tutto solo dall'inizio del 2019, iniziano ad apparire i primi punti di domanda e che, in buona sostanza, interrogano un po' tutti. Perché dietro agli orrori delle violenze si nascondo drammi sopiti, a volte noti altre no, ma che, in qualche modo, hanno in comune la loro escalation verso l'orrore. E, implicitamente, la loro richiesta di aiuto.