Il caso dell'ex Ilva, esploso nuovamente con il ritiro di ArcelorMittal dalla gestione degli impianti tarantini, espone il nostro Paese al rischio di trovarsi alle prese con quella che i sindacati hanno definito una “bomba sociale” rilanciando nel modo più drammatico il tema dell'acciaieria nel dibattito pubblico e mettendo ancora una volta a nudo il nodo di fondo fra sviluppo e ambiente, teoricamente l'assetto base del piano industriale ma diventato, negli anni, quasi una dicotomia. E torna in primo piano l'istanza di chi, in quelle emissioni, vede il focolaio dell'emergenza ambientale vissuta a Taranto, fra polveri rosse e impennata delle patologie tumorali. Un nesso, quello fra sviluppo e tutela, che la vicenda di ArcelorMittal rischia di far saltare per l'ennesima volta, senza smorzare l'inconcepibile quesito di chi, senza possibilità di conciliazione, si vede quasi costretto a scegliere fra lavoro e salute. L'aspetto forse più drammatico dell'intera vicenda, del quale In Terris ha parlato con don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, nell'hinterland napoletano, sacerdote di frontiera e portavoce di chi, nel tragico contesto della Terra dei fuochi, lotta per rivendicare il proprio diritto a vivere.
Don Patriciello, c'è apprensione attorno al caso Ilva. Diritto al lavoro, alla salute… Possibile che in quasi dieci anni nessuno sia riuscito a conciliare questi due aspetti?
“Mettere l'una contro l'altra queste due realtà, il lavoro e la salute, non è solo ridicolo ma anche un atto ipocrita. Le persone lavorano per vivere, per dar da mangiare ai propri figli ed è normale che debbano farlo con tutte le necessarie condizioni di sicurezza per la propria salute. E' un ricatto sottile quello che stanno subendo: se chiude l’ex Ilva 10 mila famiglie si ritroveranno per strada. D’altro lato, la gente ha paura, perché in quel quartiere l'aumento di patologie tumorali è purtroppo una grande verità. Ognuno deve fare la sua parte, a cominciare dal nostro governo prima ancora che dai proprietari, i quali hanno sempre interesse a risparmiare. La contrapposizione lavoro-salute nasce già distorta: abbiamo bisogno di lavorare ma di farlo con tutte le garanzie di sicurezza, non solo per gli operai ma anche per le persone residenti nei dintorni”.
Il ritiro di ArcelorMittal è solo l'ultimo aspetto di un problema annoso. Su casi come l'ex Ilva o la Terra dei fuochi, chi è che paga il prezzo più alto?
“Il problema è sempre lo stesso. Fra le tante persone in difficoltà nella mia terra posso citare il caso di Daniele, un bambino di 13 anni di Arzano (in provincia di Napoli, ndr) che, sui social, ha pubblicato un video nel quale si presentava e si diceva disperato perché sta combattendo, ormai da cnique mesi, contro una malattia, dovendosi recare addirittura a Bologna per poter essere operato. Purtroppo la sua famiglia è così povera che, pur di riuscire a resistere, ha dovuto trasferirsi a casa di sua nonna. Lui non chiede niente, nemmeno la salute ma solo una casa dignitosa. Questo per dire che i poveri pagano sempre un prezzo altissimo e il motivo è sempre lo stesso: la bramosia per il denaro, il possedere di più. I mezzi a disposizione ci sono, ad esempio per smaltire con criterio i rifiuti, che siano tossici, industriali, ospedalieri o di amianto. Certo, costano, e per qualcuno è più comodo andarli a gettare nelle campagne, bruciarli, camuffarli da rifiuti urbani anziché provvedere a smaltirli correttamente. Abbiamo bisogno di industriali non solo onesti ma anche illuminati.
Lei parla di industriali illuminati. C'è una mancanza di etica a monte?
“La Terra dei fuochi è anche il risultato di un’industria disonesta: qui sono arrivati i rifiuti del Centro e del Nord Italia. E, attenzione, non si parla contro l’industria in sé, questo sarebbe assurdo, ma contro gli industriali disonesti, che sono criminali. Ad Acerra sono stati condannati in via definitiva i fratelli Pellini (per disastro ambientale aggravato, ndr). Il ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, che ben conosce la situazione vissuta qui, ha scritto su di loro utilizzando l'appellativo di 'criminali'. Ai quali, per il momento, sono stati sequestrati circa 220 milioni di euro in beni… Stiamo parlando di cifre astronomiche mentre la nostra gente vive ancora con i centesimi e, addirittura, deve affrontare queste malattie terribili, dovendo andare peraltro fuori regione per curarsi: Daniele a Bologna, altri bambini sono andati al Gaslini di Genova, altri ancora al San Raffaele di Milano. Sono problemi molto seri ma basterebbe un po’ di buona volontà, innanzitutto da parte dello Stato, per garantire lavoro in sicurezza prima per gli operai, poi per gli abitanti delle zone dove sorgono queste industrie”.
Il rischio sembra essere quello di badare essenzialmente a un lato della problematica Ilva, dimenticando quale sia il nodo cruciale alla base dell'intera vicenda. Quasi come se per lavorare ci fosse un prezzo da pagare…
“Le persone vanno a lavorare per mangiare, per vivere, di certo non per morire. Non può essere servita, assieme al pranzo, anche la morte in dosi lente. C’è bisogno di lavoro ma che sia in massima sicurezza. Papa Francesco ha inserito nel Catechismo i peccati ambientali e ci ha fatto il dono di una bellissima enciclica come la Laudato Sì. Ormai non si torna più indietro. Nel 2050 i nostri mari avranno più plastica che pesci, questo non è possibile. Il mondo non è nostro, appartiene ai nostri figli e ai nostri nipoti: non possiamo derubarli, come se approfittassimo del fatto che non possano difendersi perché non sono ancora nati. È un ricatto, a volte subdolo e altre visibile. Non posso chiedere a una persona di venire a lavorare per poi somministrare lentamente delle dosi di veleno. Questo non è assolutamente accettabile”.