Un colloquio di pochi minuti, sufficienti ad avere chiaro l'incubo vissuto da Alvin, il bambino 11enne di origine albanese rientrato in Italia alcuni giorni fa, dopo che sua madre lo aveva portato con sé in Siria, nel 2014, per unirsi alla jihad del sedicente Stato islamico. E, secondo quanto riferito dal piccolo agli investigatori del Ros, è stato proprio in uno scenario di guerra che ha assistito alla morte della mamma: “E' morta in un bombardamento, io ero vicino a lei“, avrebbe detto nel corso del breve interrogatorio, avvenuto in condizioni estremamente delicate, sia per lo shock subito dal bambino (che ancora ne risulta estremamente provato) che per lo stato d'animo con cui ha affrontato le domande poste dagli inquirenti con il supporto degli psicologi, rivelando fra le lacrime il modo in cui aveva perso sua madre. Il bombardamento in questione sarebbe avvenuto mentre entrambi si trovavano in un campo profughi siriano, anche se non quello di Al Hol, dal quale il bambino è stato fatto ritornare in Italia.
Un percorso difficile
Al momento sono queste le informazioni ottenute dallo straziante colloquio fra gli investigatori e il piccolo Alvin, costretto ad affrontare, nella delicatezza dei suoi giovanissimi anni, un complesso percorso per tornare a vivere. Dovrà essere operato Alvin, per curare quella ferita alla gamba provocata da un'esplosione che ha provocato la morte di sua mamma ma che, per ora, non ricorda con esattezza quando sia avvenuta. Proveranno a stabilirlo i medici che, analizzando le lesioni riportate dal piccolo, potrebbero determinare il periodo a cui risalgono. Per parlare nuovamente con lui, gli investigatori aspetteranno tutto il tempo che sarà necessario. Non meno di un mese probabilmente, di sicuro quanto ci vorrà affinché il bambino possa perlomeno superare lo shock di aver visto morire sua mamma accanto a sé, sotto una pioggia di bombe che lo ha reso uno dei tanti orfani presenti fra le 70 mila persone di Al Hol.
Alvin è tornato in Italia l'8 novembre scorso, riabbracciando dopo cinque anni il resto della sua famiglia a Berzago, in provincia di Lecco. Il suo ritorno è stato possibile grazie all'operazione portata avanti dalla Polizia italiana in collaborazione con i funzionari del Servizio di cooperazione internazionale (Scip), con le autorità dell'Albania e la Farnesina, oltre che con il supporto del Ros di Milano.