Ci sono tante emergenze che fanno da cornice a questo periodo di pandemia. Si tratta soprattutto delle sfaccettature caratteriali, quei lati più nascosti delle persone, che con lo stress possono venire fuori in modo più evidente.
Le categorie di persone si suddividono principalmente in estroverse ed introverse. Persone che amano stare a contatto con gli altri e che, forse, hanno maggiormente sofferto durante questo periodo di pandemia e persone che invece amano stare in solitudine, introverse e in pace con sé stesse.
L’ambiverso
Dopo questa fase di lockdown, che per alcuni aspetti continua ancora, si scopre una nuova tipologia di persona: il convivert o ambiverso, persone caratterialmente a metà tra l’introverso e l’estroverso e forse sono loro quelle che hanno sofferto di meno e che si sono trovati meglio durante la quarantena. Per approfondire l’argomento Interris.it ha incontrato la Professoressa Laura Dalla Ragione, Psichiatra e Psicoterapeuta, Presidente SIRIDAP – Società Italiana Riabilitazione Disturbi del Comportamento Alimentare e del Peso, Direttore Rete Disturbi Comportamento Alimentare Usl 1 dell’Umbria e Docente Università Campus Bio-Medico di Roma.
Come ha vissuto il tempo di quarantena una persona con questo carattere?
“In realtà questa tipologia di personalità non ha apparentemente sofferto della quarantena, poiché il rallentamento della vita e la riduzione dei rapporti sociali sono stati vissuti come una minore pressione sociale, una minore riduzione della sensazione di inadeguatezza nell’abitare il mondo e la vita. Ma nel profondo tutto questo non ha avuto in realtà un effetto benefico, perché ha “congelato” il tempo e l’esistenza, bloccando ogni forma di possibile evoluzione”.
Questo periodo può aver modificato alcuni lati del carattere delle persone?
“Direi che in realtà la quarantena può avere, più che modificato, direi amplificato alcuni aspetti del carattere. Il senso di minaccia, la paura del mondo, paura del futuro, quindi tratti depressivi, ma in alcuni casi ha consentito anche un’occasione per capire meglio le cose importanti della vita, direi cogliere meglio l’essenza delle cose. In un mondo più rallentato le persone hanno potuto cogliere meglio l’importanza dei rapporti umani, quelli più significativi”.
L’infelicità regna nell’introversione? L’uomo introverso è più infelice?
“Credo che ci sia un fraintendimento in generale su ciò che è la felicità e l’infelicità. Siamo portati a credere che la felicità sia condizionata da condizioni esterne a noi, di merito e di fortuna. Aspettiamo la felicità come fosse il premio per un bambino a fine giornata. Di converso l’infelicità è quando questo premio non arriva.
La felicità e l’infelicità non sono collegate all’introversione. La felicità è una qualità dell’animo umano, uno sguardo sul mondo, una riconoscenza verso ciò che abbiamo avuto, piuttosto che il conteggio di ciò che non abbiamo avuto.
Può essere felice il povero, il malato, l’abbandonato, la vita guarisce sempre la vita e non lascia indietro nessuno. Ricordiamoci sempre che non possiamo misurare il cielo con un secchiello. Felicità e infelicità non dipendono quindi dall’introversione, ma dalla nostra capacità di riconoscere la vita”.
La depressione può derivare dall’essere introverso o ambiverso?
“La depressione non dipende dall’essere introverso o estroverso, piuttosto dalla capacità di accettare che il dolore non è mai un’obiezione alla vita. Imparare a sostare nel dolore e nell’attrito determinato dalla vita, costituisce la nostra capacità di abitare il mondo. Non confondiamo inoltre l’introversione con la solitudine, perchè a volte la condizione di solitudine può essere positiva e necessaria. La solitudine è una condizione importante per l’essere umano, la capacità di sostenere la solitudine fonda anche la capacità di accettare i rapporti con il mondo e con gli altri”.
Come comportarsi per approcciarsi agli altri, soprattutto in questo periodo di obbligato distanziamento sociale? Come superare le proprie paure?
“É importante capire che nessuno si salva da solo e che in questo momento più che mai abbiamo bisogno di comunità, degli altri. Pensando questo, possiamo accettare che gli altri sono per noi una risorsa e non solo un limite. Capiremo quanto importanti sono gli abbracci che tanto ci mancano, e capiremo che non dovremo mai rimandarli quando potremo di nuovo abbracciarci. Questo evento, come la pandemia, apparentemente così traumatico, alla fine ci migliorerà”.