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I lager dei giocattoli

Dietro il finto sorriso di una bambola, si cela una crudele realtà di sfruttamento dei lavoratori. Le contraddizioni del mercato globale investono anche l’ambito dei giocattoli. Alcuni prodotti che fanno bella mostra nelle vetrine dei negozi occidentali, sarebbero fabbricati in Paesi del Sud-Est asiatico da operai ridotti in schiavitù. La denuncia a pochi giorni dal Natale giunge da Solidar Suisse, una Ong svizzera che mette in guardia i genitori dal regalare ai propri figli questi giocattoli.

“Miseria e sfruttamento”

“Quello che i nostri bambini trovano sotto l’albero, il giorno di Natale, ha troppo spesso, dietro di sé, miseria e sfruttamento”, afferma l’organizzazione. Le testimonianze raccolte in Cina, del resto, sembrano confermare la fondatezza di una simile denuncia. “Posso lasciare la catena di montaggio non più di 3 minuti, giusto per recarmi alla toilette”, avrebbe dichiarato uno degli operai intervistati.

Per fabbricare più giocattoli possibili – bambole, trenini, peluches, pupazzi di supereroi – le settimane lavorative arriverebbero a cento ore, retribuite con salari da fame. Per assicurarsi una presenza costante in catena di montaggio, le aziende produttrici di giocattoli – circa ottomila soltanto in Cina – avrebbero predisposto delle vere e proprie camerate di fortuna, in cui i lavoratori dormirebbero in spazi angusti e caratterizzati dalla scarsa igiene.

Inalazione di sostanze tossiche

Oltre allo stress disumano e alle paghe misere, c’è poi il danno alla salute. Le sostanze chimiche utilizzate per produrre questi giochi (ad esempio l’olio di banana, che serve a sciogliere la plastica) arrecano effetti tutt’altro che confortanti. “I nostri occhi sono spesso irritati”, afferma a Solidar Suisse un operaio, fornendo ai genitori più di qualche domanda sull’esposizione dei nostri figli a sostanze insalubri quando maneggiano questi giochi.

Come riconoscerli

Nella sola Svizzera, spiega l’Ong, due giocattoli su tre escono da simili fabbriche che somigliano a un girone dantesco. Ma la stima è estendibile anche ad altri Paesi occidentali, visto che le aziende coinvolte sono tra le più conosciute nel settore.

Ma come riconoscere i prodotti fabbricati in questi lager? Lionel Frei, portavoce di Solidar Suisse, afferma a Repubblica che “quei giocattoli non hanno un’etichetta in grado di garantire dei metodi di fabbricazione accettabili”. Le bussole per orientarsi nei lunghi corridoi dei supermercati dedicati ai giochi, restano dunque le etichette.

The Real Toy Story

Le polemiche sullo sfruttamento dei lavoratori in Cina per produrre giocattoli non sono nuove. Il velo su questa realtà fu tolto dagli scatti del celebre fotografo tedesco Michael Wolf nel 2014, quando si intrufolò in alcune fabbriche di giocattoli di Hong Kong per immortalare lavoratori intenti ad assemblare bambole e celebri pupazzi di plastica. Il fotografo ha intitolato la raccolta di foto “The Real Toy Story, con un riferimento chiaro ad esperienze lavorative ben diverse dalla gioia dei giocattoli animati del cartone della Pixar chiamato, appunto, Toy Story.

L’intervento, un anno fa: cos’è cambiato?

Li Qiang, direttore esecutivo dell’Ong che si batte per i diritti sul lavoro, affermava un anno fa: “Chi guadagna producendo giocattoli lo fa opprimendo gli interessi dei lavoratori, e questa loro colpa deve essere sottoposta a condanna pubblica e morale. Non possiamo tollerare che i sogni dei bambini si basino sugli incubi dei lavoratori”.

Come riportava Il Fatto Quotidiano, le continue denunce sono state raccolte dall’Icti (International Council of Toy Industries), incaricata di promuovere gli standard di sicurezza internazionale dei giocattoli. “La realtà è che, in generale, la stragrande maggioranza delle fabbriche opera oltre i confini della legge cinese, e i limiti legali sono quasi universalmente ignorati,” aveva dichiarato Mark Robertson, direttore della Icti Care Foundation.

Un anno è passato, ma stando alla denuncia di Solidar Suisse, la situazione non è mutata: sotto l’albero natalizio, molti bambini occidentali continueranno a trovare doni prodotti dai nuovi schiavi del libero mercato. Siamo agli antipodi dal significato spirituale dell’oro, l’incenso e la mirra che i magi portarono a Gesù Bambino.

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