Giornata Mondiale della Polmonite: riconoscere i sintomi per una cura efficace

Polmoni - Prof. Richeldi

A destra il Prof. Luca Richeldi. Foto di Robina Weermeijer su Unsplash

La pandemia da Covid è stato un lungo periodo durante il quale anche chi non lo aveva mai fatto prima si è informato meglio sulle cause e sulle conseguenze della polmonite. Nei nostri occhi abbiamo ancora le immagini dei ventilatori, delle bombole di ossigeno ed è rimasta impressa nella nostra mente il terrore per una situazione che sembrava non volersi arrestare.

L’intervista

In questi ultimi anni è cambiato il nostro approccio con questa malattia che se trascurata può avere dei risvolti molto gravi. In occasione della Giornata Mondiale della Polmonite Interris.it ne abbiamo parlato con il Professore Luca Richeldi, direttore dell’unità operativa complessa di Pneuologia del Policlino Gemelli di Roma.

Professore, durante la pandemia da Covid si è parlato molto di polmonite. Quanto l’attenzione nei confronti di questa malattia è cambiata?

“Io credo che ci sia una maggiore consapevolezza che la salute respiratoria è un bene inestimabile da preservare. Sicuramente si è diffuso l’uso del saturimetro, diventato uno strumento importante per la gestione degli ammalati e che però prima della pandemia in pochi conoscevano o avevano in casa. Infine, nonostante le controversie, vi è una maggiore cognizione dell’importanza dei vaccini”.

Tutti dovremmo avere un saturimentro?

“Secondo me sì in quanto si tratta di uno strumento molto più utile del termometro. Noi tutti siamo in grado di capire se siamo influenzati anche senza misurarci la febbre e non ci cambia molto sapere se la temperatura è di 38° o 38.5°. La saturazione dell’ossigeno invece, è un valore molto rivelante perché è in grado di dirci se c’è una riduzione di efficienza della funzione principale dei nostri polmoni che è quella di ossigenare il sangue”. 

La stagione invernale ci espone a patologie di tipo respiratorio. Quanto è il rischio che una bronchite evolvi in polmonite?

“Può avvenire che un’infezione della vie aeree, provocata da un virus, proprio perché quest’ultimo tende a distruggere le cellule dell’epitelio respiratorio e le nostre barriere diventano meno efficaci, apra la porta anche a una componente batterica. In questo caso è fondamentale adattare la terapia che cambia a seconda dell’agente eziologico. Ricordiamo per esempio come la polmonite da Covid non si cura con l’antibiotico, al contrario di quella da pneumococco”. 

Quali sono i segnali che una bronchite sta evolvendo in polmonite?

“In genere c’è una sintomatologia molto chiara, come una febbre che non risponde agli antipiretici, oppure una tosse che persiste e con un espettorato che diventa giallo con tracce di sangue. Quando poi la polmonite è già grave arrivano dei dolori toracici molto forti che ostacolano la stessa respirazione del paziente”.

Quali sono le categorie più esposte al rischio di polmonite?

“Tutte quelle in cui il sistema immunitario è meno efficiente e si suddividono in tre gruppi: il primo è quello degli anziani, in quanto con l’avanzare dell’età l’efficienza di molti organi, compreso quello del sistema immunitario, si riduce; il secondo riguarda chi ha delle patologie concomitanti come quelle sistemiche, ovvero il diabete o patologie specifiche del polmone, quali l’enfisema, la fibrosi cistica e l’asma bronchiale; il terzo invece, comprende tutti quei pazienti che fanno uso di farmaci che riducono l’efficienza del sistema immunitario come gli immunodepressori ed è il caso dei pazienti oncologici o reumatologici”.

Si sente parlare molto di polmonite nosocomiale. In che cosa consiste?

“Si tratta di un problema molto serio e sono le polmoniti che vengono contratte in ospedale, prevalentemente nelle terapie intensive e sub-intensive. Sono provocate da dei germi nosocomiali che si formano in ospedale per un utilizzo molto intenso degli antibiotici che tendono a selezionarli. Queste polmoniti rappresentano una questione molto delicata in quanto ad oggi non possediamo ancora alcuna arma terapeutica efficace”.

Elena Padovan: