Lasciare la propria casa a chi un'abitazione non l'ha mai avuta: una storia di generosità e altruismo quella che arriva da Treviso. In realtà, per i due protagonisti in questione, tali qualità non sono certo nuove: si tratta del professor Silvio Antonio Calò e di sua moglie, Nicoletta, residenti nel piccolo centro di Camalò di Povegliano e, da anni, dediti all'assistenza dei migranti e dei rifugiati. Un aiuto messo in atto in modo concreto ospitando, da un paio d'anni, alcuni ragazzi immigrati con l'intento di far sentire loro, almeno in parte, il calore di una famiglia pur così lontani dalla loro terra. Qualche giorno fa, la decisione di trasferirsi nella canonica della locale parrocchia per lasciare la casa, dove sono vissuti per anni e dove hanno cresciuto i loro 4 figli, a quelli che da 24 mesi sono loro ospiti.
A riportare la notizia è stato il settimanale diocesano, “Vita del popolo”, al quale la coppia ha raccontato la propria storia e la nuova idea: “Da una parte questa esperienza che andremo a fare serve a umanizzare la vita del prete, a normalizzare – hanno affermato riferendosi al loro imminente trasferimento in parrocchia -, dall'altra dà un senso di Chiesa che valorizza anche la vita familiare in una custodia reciproca della persona, prete o laico, che fa bene agli uni e agli altri”. Ad accoglierli in canonica ci sarà padre Giovanni Kirschner, parroco del vicino paese di Sant'Angelo a Santa Maria sul Sile: una scelta, quella dei due coniugi, che tenterà quindi di coniugare non solo l'assistenza ai rifugiati ma anche quella alla locale istituzione ecclesiale, ben consapevoli delle difficoltà incontrate dai sacerdoti che svolgono il loro servizio in parrocchie di provincia.
“L'esperienza – ha spiegato sul settimanale Nicoletta Calò – va fatta partendo da cose semplici in un rapporto paritario. Il distacco dal valore delle cose ci aiuterà ad affrontare questo che è l'ottavo trasloco per me e Antonio… Ognuno di noi continuerà a fare il suo lavoro, e gli aspetti concreti andranno definendosi di giorno in giorno. Succederà in modo spontaneo, senza regole. Ci vedremo più che altro la sera, avremo spazi di confronto e di preghiera”. Un nuovo percorso di vita, dunque, che fonderà insieme il sacramento del matrimonio, lo spirito del sacerdozio e l'altruismo verso i bisognosi: un connubio di fattori che la famiglia Calò ha tentato di tradurre in un atto tangibile, ben consapevole di quanto un messaggio come questo possa essere importante in un'epoca, la nostra, di diffidenza, sfiducia e timore dell'altro.
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