Le agenzie delle Nazioni Unite lanciano l’allarme: più di 50 milioni di persone che vivono in Paesi in guerra soffrono la fame. Nello specifico, le popolazioni civili di 17 nazioni del sud del mondo sono soggetti ad una “grave insicurezza alimentare”. Lo rilevano la Fao e il Programma alimentare mondiale (World Food Program, Wfp) che stilano una lista precisa: 14 milioni in Yemen, circa la metà della popolazione; 8,7 milioni in Siria, dove coloro che “necessitano in modo urgente di cibo, nutrizione e assistenza per sopravvivere” sono il 37% del totale.
In condizioni critiche anche le provincie nordorientali della Nigeria, dove dal 2009 la piaga del gruppo fondamentalista islamico “Boko Haram” ha ridotto mezzo milione di persone alla catastrofe umanitaria.
Dominique Burgeon, capo dell’unità emergenze della Fao, afferma che l’industria siriana del pollame è stata distrutta, colpendo la fascia più povera della popolazione. Non va meglio l’agricoltura. Secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite, quest’anno nel Paese persiano verranno raccolte 1,9 milioni di tonnellate di grano, meno della metà di quelle che venivano prodotte prima della guerra. Il settore agricolo, sui cui fanno affidamento quattro quinti della popolazione, è al collasso. Importare cibo è logisticamente impossibile e, al contempo, il mercato nero offre beni a prezzi troppo alti per buona parte della popolazione, stremata da 5 anni di conflitti interni.
La Siria ha anche un altro triste primato: è la prima nazione al mondo ad aver prelevato alcuni semi dalla banca internazionale seppellita nelle isole Svalbard (in Norvegia), per rimpiazzare le perdite dell’ultimo lustro. Burgeon ha messo in guardia alcune ong internazionali che, in buona fede, importano sementi non appropriate ai climi locali dei Paesi in emergenza, rovinandone il terreno e “riportandoli indietro di diversi anni”.