La porta dell’inferno è uno schermo di pochi pollici di grandezza. L’eternità del disgusto, invece, dura 10 secondi. L’orrore è nella breve sequenza filmata in cui una bambina – si dice possa avere più o meno dieci anni – fa sesso con due ragazzini coetanei o poco più grandi. Ripresa in volto e per nulla imbarazzata, sorride divertita. Il video è arrivato via WhatsApp a uno studente di una scuola media della provincia di Firenze che, vincendo il disagio e ogni remora, non ha esitato ad informare l’insegnante in aula che a sua volta ha attivato la direttrice didattica. Immediata la denuncia ai Carabinieri e altrettanto tempestiva la comunicazione della notizia di reato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Firenze: a fronte di questo solerte rimpallo positivo, quel che spaventa è il rimbalzo ancor più fulmineo e capillare del filmato attraverso la fin troppo elastica trama dei sistemi di messaggistica istantanea.
Un problema sociale
I giovanissimi protagonisti di questa allucinante vicenda sono geograficamente traditi dall’audio. Parlano con forte accento romano e i fotogrammi lascerebbero intravedere dettagli tali da ricondurre ad una località del litorale laziale. Il file multimediale, prima di arrivare allo smartphone del teenager nei pressi del Mugello dove è scoppiato il caso, quanti “salti” è riuscito a compiere? Quanti sono i destinatari dello scellerato invio e della successiva endemica condivisione? La notizia – ancora frammentaria e incompleta – ha l’effetto di un uppercut di Mike Tyson e manda al tappeto anche i più forti di stomaco. Chi purtroppo è abituato (non per scelta, certo, ma per trascorsi professionali) a trattare fattispecie così incresciose, si trova comunque nell’imbarazzo sulla precedenza da accordare nell’esaminare la questione: prima le “divagazioni” etiche e sociali oppure le considerazioni tecnico-giuridiche su quanto successo e sul cosa/come fare per trovare i responsabili di un simile scempio. Il “perché” sia accaduto merita un approfondimento quasi antropologico ed è lo specchio dell’esempio che i grandi danno quotidianamente ai piccoli che non faticano ad apprendere la lezione.
Appelli inascoltati
Il “come” trova fin troppo facile radice nell’atavica sottovalutazione di Internet e dei dispositivi mobili nelle mani dei giovanissimi. Vox clamans in deserto, nel 1997 con due amici/colleghi pubblicai un libro intitolato “Genitori, occhio ad Internet”: sono passati più di vent’anni e quell’appello è rimasto inascoltato. La mancanza di un piano governativo (si dice sempre che si sia qualcosa di più importante e urgente cui provvedere) volto a crescere le nuove generazioni e a intervenire ortopedicamente nella cultura degli educatori (scuola e famiglia) e della popolazione dalle chiome d’argento, sta raccogliendo gli inevitabili frutti. Chi ha in mano le sorti del Paese non si rende conto che la questione deve essere affrontata subito, senza perdere altro tempo, senza affidarsi all’amico o all’amico dell’amico.
Touch pericolosi
Il pianeta social è in rotta di collisione con la nostra civiltà, ma siccome chi ha la cloche dell’Italia è spesso il primo ad utilizzare quei contesti per dare il peggio di sé (Casalino docet) non ci si può aspettare nulla di buono. Sotto il profilo investigativo, la vicenda ha prospettive incoraggianti. Il filmato ha “marcature” che consentono di risalire alla tipologia (marca e modello) del telefonino utilizzato per la ripresa, alla localizzazione territoriale, al momento (data e ora) in cui è stato realizzata la registrazione. Chi – destinatario del messaggio che ha fatto emergere la faccenda – ha già consentito di risalire al mittente. E se – come accade ora con WhatsApp – c’è la scritta “Inoltrato” sarà evidente che si dovrà procedere ulteriormente a ritroso fino ad arrivare a chi ha immesso il video nell’irrefrenabile circuito, scoprendo drammaticamente la vastità della platea di persone coinvolte in questa micidiale contaminazione. Vista la natura del filmato e la facilmente presumibile età dei protagonisti, tutti i soggetti che hanno “contribuito” a questa sorta di evoluto “passaparola” via WhatsApp vadano a leggere quel che è scritto nell’articolo 600 ter del codice penale in tema di divulgazione di materiale pedopornografico. Se non spaventa il futuro che stiamo approntando, ci si augura che almeno la reclusione prevista per simili reati induca a riflettere. Rallentiamo la corsa a fare clic con il mouse o con il dito sul touchscreen. Potrebbe essere più pericoloso di quello sul grilletto di una pistola.