Un report lungo e dettagliato quello presentato dalla Onlus “Italians for Darfur”, da anni impegnata nella salvaguardia e nel monitoraggio delle regioni dell’Africa centrale rientranti sotto tale denominazione, dal Sud Sudan al Ciad. Il rapporto annuale stilato dall’associazione, ha toccato molti punti sensibili della situazione vissuta nell’area in oggetto, che vanno dalla necessità di assistenza umanitaria alla mancata libertà di stampa, passando per l’assenza di adeguate cure mediche e, soprattutto, per l’utilizzo di armi chimiche sulla popolazione, nell’ambito del conflitto del Darfur e della guerra civile sud-sudanese. Stando alle stime effettuate da IfD, solo nell’ultimo anno (da gennaio 2016 a oggi) sarebbero almeno 300 mila i morti dovuti a cause dirette o indirette degli scontri armati, mentre i profughi sarebbero stimabili attorno ai 2 milioni e 700 mila individui. A rincarare la dose, al di là dei numeri, una situazione sociale tutt’altro che facile, con picchi di violenza ed episodi di discriminazione religiosa all’ordine del giorno.
Attacchi chimici in Darfur
Il punto più importante, tuttavia, tra quelli mostrati (con tanto di sconvolgenti immagini fotografiche) dall’associazione nell’ambito della Commissione parlamentare svolta in Senato il 23 febbraio, sono stati i dati forniti sull’utilizzo di armi chimiche nel corso della guerra, denunciati dal Sudan liberation movement ed esposti da un rappresentante del movimento in Italia, il quale ha evidenziato come, a più riprese, siano stati sferrati attacchi ai danni di obiettivi civili attraverso tali mezzi. Secondo quanto riportato, le vittime per contaminazione sarebbero stimabili tra 250 e 1300, con almeno 30 raid effettuati con armi ritenute non convenzionali, con materiale di natura chimica contenuto all’interno degli esplosivi. Le prove degli attacchi, sarebbero state raccolte dallo stesso leader dell’opposizione sudanese, Abdel Wahid al Nur.
Libertà di stampa negata
Grande attenzione è stata concessa anche alla situazione vissuta dai cronisti e dai giornalisti delle varie testate cartacee e radiofoniche impegnate sul territorio del Darfur, vittime di repressione (e soppressione) nel loro diritto alla libertà di pensiero e informazione, nonché impossibilitati a svolgere reportage e documentazioni sul campo. Alcune di queste sono state chiuse o poste sotto sequestro, in quanto non allineate. Un aspetto che, al pari delle altre componenti, contribuisce a dipingere un quadro maggiormente chiaro sulle terribili condizioni che interessano da anni una regione dimenticata, vittima di violenze reiterate e, purtroppo, per troppo tempo nascoste agli occhi della comunità internazionale.