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Eluana Englaro, il caso che divise l'Italia

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La sua vita cambiò in un istante, proprio nel momento in cui i suoi sogni aveva iniziato ad accarezzarli, a costruirli, a cercare di renderli reali. Eluana Englaro quella vita lì non la concepiva, suo padre Beppino lo ha ripetuto tante volte: 17 lunghissimi anni vissuti in stato vegetativo, dopo quel tragico incidente stradale che aveva cambiato tutto e subito, già dal momento dell'impatto. Quelle cure, secondo la famiglia, la ragazza le considerava “un inutile accanimento terapeutico”: le avrebbe vissute per 6.233 giorni, fino alla telefonata dalla clinica “La Quiete” che, il 9 febbraio 2009, riportò la notizia della sua morte, che irrompe in Senato proprio mentre si discute il Ddl 1369. In mezzo, quasi due decenni di lotte, vicende giudiziarie, contenziosi politici, intervento della Chiesa cattolica, ricorsi e appelli… Una storia che per anni ha coinvolto l'intero Paese in un acceso dibattito sul fine vita e che, in qualche modo, si è rivelata decisiva per giungere all'approvazione della cosiddetta legge sul Biotestamento. Era il 14 del 2017, quasi 9 anni dopo la morte di Eluana e, con quel testo, si definiva per la prima volta in Italia una regolamentazione delle cosiddette Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). Un percorso complesso che, tutt'oggi, sembra non aver messo tutti d'accordo. Eugenia Roccella, nel 2009 sottosegretario alla Salute, la chiama “eutanasia all'italiana”: lei fu tra coloro che, negli ultimi giorni di vita di Eluana, fece pressione affinché il governo firmasse il decreto per impedire lo stop all'alimentazione. Lo ha ricordato a Il Giornale: “Napolitano rimandò indietro quel decreto, anche se era difficile non riconoscere i requisiti di urgenza dell'atto”.

L'inizio

E' morta a 39 anni Eluana Englaro, ne aveva 22 quando quello schianto sulla strada verso Pescate, gelata in quel freddo 18 di gennaio, la portò alla paresi immediata dei quattro e arti e in uno stato di comatosi prima, vegetativo poi, quelle stesse condizioni che, secondo la sua famiglia, aveva sempre avversato. La ragazza viene alimentata con un sondino, respira da sola ma mostra segni di “torpore”. Nei successivi quattro anni, amici e familiari (consigliati dai medici) tentarono in ogni modo di stimolare qualche sua reazione, senza successo. La sentenza dei medici arriva qualche giorno dopo: Eluana è in uno stato vegetativo, irreversibile. Mangia, respira in modo autonomo ma non ha possibilità di muoversi, di interagire, di comunicare. “La morte fa parte della vita. Lo stato vegetativo, secondo Eluana, no”, ha recentemente detto suo padre Beppino in un'intervista al Corriere della Sera. E, per questo motivo, iniziò la sua lunghissima battaglia per sospendere l'alimentazione alla figlia e, citando ancora alle sue parole, “lasciarla libera”. Sarà l'inizio di un caso che attraverserà tutti gli anni Novanta, giungendo al Nuovo millennio ancora senza soluzione.

La battaglia

Tutto inizia il 19 novembre 1996, quando la giovane viene dichiarata “interdetta per assoluta incapacità” e tutore viene nominato suo padre. E' quasi immediata la richiesta del genitore di sospendere l'alimentazione ma altrettanto subitaneo è lo scontro con la normativa: la legge non indica l'alimentazione come una cura medica e, per questo, sono inutili gli appelli all'articolo 32 della Costituzione, secondo il quale “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Lo affermerà il Tribunale di Lecco, lo ribadirà la Corte d'Appello di Milano nel 2003. Nel frattempo Eluana resta nel suo letto, in una stanza della casa di cura “Beato Luigi Talamoni” di Lecco, assistita (già dal 1994) dalle suore Misericordine che, con enorme affetto, l'accompagneranno per tutta la sua degenza nella clinica. Per il primo pronunciamento della Corte di Cassazione bisognerà attendere il 2006 ma risulterà un nulla di fatto, a causa di un vizio di forma riscontrato nel ricorso. Tutto rinviato, fino al 16 ottobre 2007 quando, a seguito di un nuovo ricorso, la Cassazione stabilirà due condizioni necessarie affinché il trattamento di alimentazione potesse essere interrotto: innanzitutto che “la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale”; in secondo luogo, “che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo”. La Corte d'Appello riesamina il caso e, il 19 luglio 2008, viene disposto che il padre di Eluana, in quanto tutore, possa interrompere l'alimentazione forzata.

Il dibattito

Nel frattempo, però, subentra il dibattito a livello politico. Aspro, fatto di diversi punti di vista, forse più deleterio che utile e latore di qualche ostacolo. All'epoca, Camera e Senato parlarono di conflitto di attribuzione mettendo nel mirino la Cassazione e un atto, quello del 2007, “sostanzialmente legislativo, innovativo dell'ordinamento vigente”, incappando nel mese di ottobre nella dichiarazione della Consulta, che inquadra la sentenza come “non innovativa” perche' basata sul principio costituzionale di poter rifiutare le cure. Le aule continuano a discutere: arriva il 2009 e, in febbraio, il Capo dello Stato giudica incostituzionale un decreto di legge che mira a evitare la sospensione dell'alimentazione ai pazienti in stato vegetativo. Nel frattempo Eluana viene trasferita presso “La Quiete” di Udine e, a partire dal 6 del mese, alimentazione e idratazione vengono progressivamente sospese.

La sfida per la vita

Ma, in un contesto fatto di aspre battaglie, c'è stato anche chi si è mosso perché Eluana continuasse a vivere. A cominciare proprio da quella mossa del governo Berlusconi che, poche ore dopo il distacco del sondino di alimentazione, sottopose all'attenzione del Presidente della Repubblica Napolitano quel decreto-lampo per cercare di fermare la pratica in quelle che, di fatto, sono le ultime ore della ragazza. La dichiarazione di incostituzionalità chiude di fatto le porte all'iniziativa politica, mentre negli stessi giorni arriva la nuova presa di posizione da parte di mons. Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la vita: “Eluana è viva – riferì all'Ansa -, ha il diritto di vivere e la comunità politica deve sostenere la sua vita con i mezzi che ci sono”. Tentativi che erano arrivati già in precedenza, specie quando la Corte d'Assise di Milano ritenne valide le due condizioni poste dalla Cassazione per il via libera alla sopsensione del trattamento, a quanto pare non considerando che nella cartella clinica sarebbero stati riportati piccoli segnali da parte di Eluana, senza che, però, fossero svolti ulteriori accertamenti medici. Un particolare ricordato dal neurologo Gian Luigi Gigli su Avvenire: “Illustri neurologi chiesero che fossero eseguiti più approfonditi accertamenti con le nuove tecniche di valutazione dello stato di coscienza, ma ogni richiesta fu respinta”. Tre giorni prima del fatidico 6 febbraio, il secondo comunicato in merito da parte della Chiesa cattolica, letto dal Segretario Generale, S.E. Mons. Mariano Crociata: “E' a tutti evidente che qualsiasi azione volta a interrompere l’alimentazione e l’idratazione si configurerebbe – al di là delle intenzioni – come un atto di eutanasia”. Probabilmente l'ultima presa di posizione ufficiale prima della fine. E' pieno dibattito in Senato quando, il 9 febbraio, dalla clinica arriva la notizia: Eluana se ne è andata. Uno dei casi che più hanno fatto discutere l'opinione pubblica si è chiuso con la morte della ragazza che, per 17 anni, ne è stata inconsapevolmente protagonista, in bilico fra le onde di un dibattito che, dieci anni dopo, sembra ancora vivo nella coscienza del Paese.

Mattia Damiani: