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Eleonora Daniele, una professionista accanto ai più deboli

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Saper cogliere momenti e storie quotidiane, condividerle, raccontarle… Questo richiede non solo capacità professionale ma anche e soprattutto coraggio e determinazione, per calarsi appieno nel confronto con il disagio e la sofferenza e restituire al pubblico una speranza di riscatto. Eleonora Daniele, conduttrice del programma Storie italiane, fra i più seguiti del palinsesto Rai con un bacino di oltre un milione di telespettatori, ha impostato la propria carriera sul confronto continuo con storie e testimonianze di vita vissuta. Giornalismo e tv, affrontati sempre con lo stesso desiderio di fare qualcosa per gli altri, dando voce ai meno ascoltati: qualcosa che, ha spiegato a In Terris, costituisce un arricchimento umano e professionale e, soprattutto, un dovere per chi fa informazione. Eleonora è molto amata dal pubblico che apprezza anche il suo carattere deciso e luminoso, la sua sensibilità verso chi subisce ingiustizie e di chi vive nella sofferenza.

 

Storie italiane ha la capacità di entrare nelle case delle persone, raccogliendo un seguito sempre maggiore e trattando tematiche che le stanno a cuore. Che bilancio trae da questa esperienza?
“Un bilancio ottimo, perché abbiamo fatto tante inchieste seguendole sul territorio e raccontato tante storie. Poi abbiamo avuto un grande riscontro e un grande affetto da parte dei nostri telespettatori che ci scrivono, ci segnalano casi, storie o semplicemente luoghi dove andare, dove accendere i riflettori e le telecamere, come abbiamo fatto per esempio a Mondragone, nella nostra inchiesta sulla prostituzione minorile, come stiamo facendo a Foggia o anche nel caso della piccola Desiree, a San Lorenzo. In quella circostanza siamo stati i primi ad accendere i riflettori su quanto stava accadendo perché all'inizio non si capiva, si parlava di una ragazza di 25 anni morta di overdose e, in quel momento, non era stata riportata nessuna verità da parte dell'informazione, rispetto a quella che abbiamo scoperto dopo.

Qual è il segreto di questo successo?
“Il bilancio che si fa è sempre a favore della gente. Secondo me, il piccolo grande segreto di questa trasmissione è l'esser vicina alle persone, ascoltarle e, quando possiamo, cercare di portare al loro servizio il meglio della televisione pubblica. Questo significa raccontare storie, anche se di burocrazia o di temi delicati come la disabilità. A quest'ultimo aspetto, in particolare, io tengo tantissimo, perché ritengo fondamentale proteggere i diritti di chi è portatore di qualunque tipo di disabilità”.

A questo proposito, fra le tante storie raccontate anche quella della piccola Eleonora, affetta da tetraplegia. Una vicenda che l'ha vista particolarmente partecipe…
“Sì, si è trattato di un duro lavoro, andato avanti per un anno e mezzo. All'inizio non volevano nemmeno dare il risarcimento ai genitori, erano state chiuse le pratiche. E' stato necessario sensibilizzare, far capire cosa era successo davvero. Per questo è fondamentale spiegare bene le storie. Nei tempi della burocrazia e della giustizia, le persone diventano carte e può succedere che a volte vengano 'lette' in fretta. Quando invece tu lavori sulle storie, sulle 'carte', quelle diventano persone che, a loro volta, divengono storie da raccontare. E nel far questo riesci a esprimere le emozioni, a denunciare alcuni fatti, a comprendere meglio le dinamiche. E, quando ci riesci tu, magari ci riescono anche coloro che le carte le leggono velocemente. A volte i messaggi passano perché si sensibilizzano anche le istituzioni su queste cose. La storia di Eleonora è andata avanti anche per l'enorme battaglia che abbiamo condotto, anche con il bravissimo avvocato: i professionisti, al fianco di queste storie, diventano persone anche loro. E quando la società civile si unisce e si uniscono le varie figure professionali alla storia, alla testimonianza, alla sofferenza, diventano molto più forti”.

Una sinergia fondamentale e anche un arricchimento…
“Noi professionisti, avvocati o giornalisti, ci arricchiamo emotivamente, perché facciamo qualcosa di buono: atti non solo di dovere ma anche di diritto, perché ogni diritto mancato alla persona disabile manca anche a noi. Dall'altro lato si arricchisce la società, da un punto di vista valoriale. Le dinamiche diventano come una marcia, tutti uniti, e quando si arriva all'obiettivo è una grande vittoria. In questi giorni di festa, questa è una grande vittoria che attraversa il significato più profondo del messaggio cristiano”.

Ascoltando queste storie, confrontandosi con la sofferenza e con spaccati di vita quotidiana si cresce dunque anche e soprattutto a livello umano…
“Non ci si può staccare da quello che si racconta, l'ho imparato in tanti anni di tv passati a raccontare storie, portando testimonianze ogni giorno: non ci si può distaccare totalmente da ciò che si racconta, ne porti sempre un pezzettino con te. E questa è una forza, una spinta e anche un modo per continuare a lottare assieme alle persone con cui parli. A volte succedono vere magie sociali ed è impossibile non portarsele dietro. La tv può essere definita 'movimentista' ma in questo movimento accadono cose importanti, si risvegliano gli animi. Muoversi, produrre sensibilizzazione: questo è l'importante. E' una dimensione dinamica della tv, un dinamismo sociale determinante in un'Italia che tende sempre più a basarsi sul terzo settore. E questo è un dato di fatto. A Natale abbiamo raccontato tante storie anche di solidarietà e quello che faremo il 31, alle ore 10, è raccontare i 50 anni della Comunità Giovanni XXIII. Sono stata in una casa protetta della comunità incontrando tante storie e che racconterò in uno speciale”.

Cosa porta con sé da questa esperienza?
“Ho portato con me molte cose. Quando fai questi incontri, sono forti perché è come se fossero liberatori. E' complicato dire ciò che ho provato: posso dire che nella dimensione cristiana dei sentimenti, tu ti senti libero e la nostra libertà inizia dove tu incontri l'altro. Nel momento in cui ti confronti con la sofferenza o anche solo con la libertà dell'altro, ti senti libero a tua volta. Quelle donne che ho incontrato sono state liberate e io mi sono sentita libera insieme a loro. Emotivamente è una sensazione molto forte, perché condividi uno stato emotivo e loro, in quel momento, lo condividono con te. E' uno scambio di vita importante, per questo non è facile spiegare cosa si prova. Ho incontrato un papà e una mamma che hanno attraversato il mare con dei barconi, con la speranza di trovare un lavoro per dare un futuro ai loro figli: quelle persone oggi erano libere, e io mi sentivo libera con loro. Quando provi cose simili te le porti per sempre”.

E' possibile trasferire e condividere sensazioni così intense?
“In questo senso, la televisione ha un grande significato. Il buon utilizzo delle parole può spiegare molto ma la tv ha il dono delle emozioni, dell'istantaneo. E soprattutto ha l'immagine, che è una cosa importantissima. In ognuna di esse possono esserci mille significati e secondo me, Storie italiane utilizza proprio l'immagine, che è immediata e nello stesso tempo profonda, in grado di passare messaggi sociali di grande significato”.

Questo tipo di esperienze hanno inciso nel suo rapporto con la fede?
“Il mio percorso di fede parte da lontano. Sicuramente è qualcosa con cui io ho avuto molto a che fare soprattutto con la morte di un fratello che ho fatto fatica ad accettare. In questi incontri, anche in quest'ultimo, c'è sicuramente una dimensione cristiana molto forte. E queste cose possono avvicinarti molto. Capisci che non sei solo tu ad avere fede ma che quel processo di liberazione di cui parlavamo avviene proprio attraverso la fede. Nella liberazione c'è il rischio, la paura, il pericolo come per quei genitori partiti con il barcone: in quella partenza avrebbero potuto trovare anche la morte ma con loro avevano la fede alla quale certe dinamiche, in qualsiasi posto e in qualsiasi momento, possono avvicinarti. Sicuramente, chi affronta quel tipo di viaggio, qualunque sia la sua religione, avrà accresciuto il suo rapporto con la fede e con Dio. Non possiamo capire in che maniera intervenga il Signore sulle persone ma la crescita della fede significa anche superare gli ostacoli e le proprie paure”.

                                                         

Damiano Mattana: