Il suo inventore l'ha già definita una “morte euforica“. Come se la fine di una vita potesse avere qualcosa di divertente o liberatorio. Ma per chi, come l'attivista australiano pro eutanasia Philip Nitschke, crede che la scelta tra l'essere e il non essere rientri nella piena disponibilità umana, il comfort dell'ultimo viaggio è un aspetto da non sottovalutare. Un decesso soft almeno in teoria, perché nessuno tornerà mai indietro per raccontarci se abbia sofferto o meno nel momento in cui l'azoto ha iniziato a farsi largo nei suoi polmoni.
Invenzione choc
Andiamo per ordine: durante l'ultima fiera funeraria di Amsterdam, Nitschcke, ha presentato un'invenzione a dir poco scioccante. Si tratta di Sarco (abbreviazione di sarcofago), una macchina per il suicidio progettata, ha spiegato a France-Presse, “per dare alle persone la possibilità di morire nel momento in cui lo desiderino”. Il modello si presenta come una sorta di capsula con una linea decisamente moderna che richiama una bara extralusso. All'interno è posizionata una poltrona sul quale l'aspirante suicida potrà accomodarsi prima di porre fine ai suoi giorni. Decisamente più politicamente corretto di una ruvida corda a cui appendersi, di un revolver da puntarsi alla tempia o di una lama con la quale recidersi le vene dei polsi, ma la sostanza non cambia. Anzi. Con il suo design accattivante, Sarco, è decisamente più ipocrita degli altri rimedi per il suicidio faidaté. E più cara. A oggi, spiega il sito dedicato all'invenzione, la cabina della morte non è ancora in vendita ma si punta a mettere a disposizione degli utenti un progetto gratuito scaricabile online da realizzare con l'ausilio di una stampante 3 D. Il tutto dovrebbe costare circa 7.500, azoto compreso.
Come funziona
Le pratiche per il viaggio verso “il grande oltre” (il copyright è sempre di Nitschke) si fanno sul sito web di Sarko. Il primo passaggio è un test per verificare la sanità mentale dell'aspirante suicida. Se l'esito sarà positivo all'utente verrà fornito un codice d'accesso valido per 24 ore. Entro questo lasso di tempo, al momento opportuno, il morituro entrerà nella capsula, chiuderà la porta e premerà un pulsante per azionare il serbatoio d'azoto. L'ambiente sarà saturo in pochi istanti. “La sensazione iniziale sarà di stordimento – spiega ancora Nitschke – ma nel giro di un minuto la persona perderà conoscenza e successivamente morirà”. Ma perché parlare di “morte euforica”? Per Nitschke “l'esperienza di restare senza ossigeno può essere inebriante, basta chiedere ai sub”.
Interesse pericoloso
Sarko, sviluppata insieme al designer olandese Alexander Bannink, ha subito (purtroppo) attirato l'attenzione dei partecipanti alla fiera. Indossati occhiali per la realtà virtuale, i visitatori hanno potuto, per qualche istante, farsi un'idea su come si troverebbero all'interno della macchina per il suicidio. E già solo la curiosità per una follia del genere la dice lunga sulla cultura della morte imperante nell'occidente secolarizzato.
Dottor morte
Nitschke (70 anni) è da sempre un sostenitore dell'eutanasia e del suicidio assistito. Ai tempi della facoltà di medicina aveva seguito con interesse il lavoro di Jack Kevorkian, noto patologo americano conosciuto come “Dottor morte” per aver aiutato almeno 130 pazienti a togliersi la vita. Da giovane ha creato la “Deliverance Machine“, una macchina per inoculare barbiturici nel braccio dell'aspirante suicida dopo che questi avesse confermato l'intenzione di morire attraverso un test proposto dal pc collegato alla flebo. In seguito ha sviluppato una speciale “Exit Bag” – maschera per suicidarsi mediante inalazione di gas tossici – al monossido di carbonio. Questi strumenti sono stati utilizzati su almeno 4 persone prima che la legge sull'eutanasia in Australia venisse abrogata. Nel 1997 Nitschke ha fondato la “Exit International”, associazione pro dolce morte. Per il suo attivismo nel settore Newsweek lo ha definito “L'Elon Musk del suicidio assistito“.
Critiche
Oggi ci riprova con Sarco, grazie a cui, ha spiegato ancora, “chi sceglie di morire potrà farlo semplicemente premendo un pulsante, invece di lanciarsi sotto un treno”. Ma, fortunatamente, numerose critiche hanno seguito la presentazione di questo orrore. Come Daniel Sulmasy, professore di etica biomedica presso l'università di Georgetown (Washington Dc). “Questa macchina trasforma l'omicidio in terapia e trascura tutto quello che, grazie alle cure palliative, possiamo fare per rendere più sopportabile il dolore” ha detto al Washington Post. Si tratta “di una pessima medicina, immorale e sarebbe una cattiva politica pubblica”. La speranza è di non doverla mai vedere in commercio. Chi è dotato del talento dell'ingegno lo metta al servizio della vita, non della morte.