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“È ora di dire alle donne la verità sull'aborto”

“Sollevare il velo di censura sull’aborto”. Così il senatore della Lega Simone Pillon ha introdotto la conferenza stampa che si è tenuta stamattina a Palazzo Madama, organizzata insieme a ProVita Onlus. L’associazione è balzata al centro delle cronache nei giorni scorsi, per via del maximanifesto fatto affiggere a Roma e rimosso dal Comune a seguito delle proteste di alcune rappresentanti del Pd.

Il vespaio di polemiche, tuttavia, ha involontariamente acceso i riflettori sul tema che ProVita vuole portare al centro del dibattito: le ripercussioni fisiche e psicologiche dell’aborto sulla donna. “Su innocui medicinali acquistati in farmacia – ha rilevato Toni Brandi, presidente di ProVita – c’è un bugiardino che informa sulle possibili controindicazioni, sull’aborto c’è una cortina di silenzio”.

Cortina che l’organizzazione vuole rompere attraverso l’informazione. È in questo senso che si colloca la pubblicazione dell’opuscolo“Per la salute delle donne”, della scrittrice Lorenza Perfori, presente alla conferenza. Lei ha sottolineato che gran parte delle donne è ignara delle conseguenze dell’aborto, che in rari casi possono portare anche alla morte, perché non se ne parla né nei consultori né a livello politico. “Nelle relazioni del ministero della Salute sull’applicazione della legge 194 – ha detto – i dati sulle complicanze legate all’aborto sono vaghe o incomplete”. La Perfori ha sottolineato che non è vero l’aborto farmacologico, quello che avviene attraverso la pillola, sia più sicuro. Tutt’altro: “uno studio del 2009 – ha detto – attesta che un rischio di complicanze quattro volte più alto dell’aborto chirurgico, a partire da emorragie e sepsi”.

L’idea generale che aleggia in sala è che oggi sia disattesa la prima parte della legge 194, la quale prevede che il personale sanitario informi le donne in gravidanza prima di intervenire. Lo afferma la senatrice Isabella Rauti (Fratelli d’Italia). “Dal 1978 il grande assente al dibattito sull’aborto resta questo: i rischi dell’aborto”. Secondo dati dell’Oms – ha sottolineato la senatrice – le morti per aborto sono il 7,9% sul totale della mortalità materna, pari a circa 193mila decessi l’anno. Ma il dato è sottostimato, se si legge quanto diffuso dalla rivista scientifica Lancet, secondo cui i decessi causati dall’aborto sarebbero il 14,9% della mortalità materna.

Morte che, talvolta, può avvenire anche per suicidio – come spiegato nell'opuscolo della Perfori – da parte di donne che hanno avuto un aborto. La senatrice leghista Raffaella Marin, psicologa, ha detto che l’interruzione volontaria di gravidanza provoca un lutto, aggravato spesso dai sensi di colpa. Lutto che talvolta riguarda anche gli operatori sanitari. Le ripercussioni psichiche sulle donne sono testimoniate da uno studio del British Journal Psychology, secondo cui l’incidenza dell’ansia sulle donne che hanno avuto aborti volontari è del 34% maggiore rispetto a chi ha avuto aborti spontanei. E ancora: il 37% in più di depressione, il 110% di alcolismo, il 230% di consumo di sostanze stupefacenti e psicofarmaci. In conclusione la Marin ha spiegato che dopo una gravidanza, occorrono nove mesi agli ormoni per stabilizzarsi, l’aborto interrompe il processo all’improvviso facendo scaturire ripercussioni sull’emotività.

Presenti al convegno anche i senatori Maria Saponara, Emanuele Pellegrini e Massimiliano Romeo, della Lega. Quest’ultimo è tornato sulla censura del maximanifesto, rilevando “l’ipocrisia” di chi lamenta la crisi demografica e poi fa rimuovere un’immagine pro-vita. Tutti i senatori presenti si sono detti pronti a portare nelle istituzioni la battaglia di ProVita Onlus, anzitutto promuovendo la petizione destinata al Ministero della Salute “affinché garantisca che le donne vengano informate delle conseguenze dell’aborto volontario sulla loro salute fisica e psichica”.

L’intenzione è anche di metter mano alla legge 194? “Serve un tagliando”, ha detto in modo sibillino Pillon. Serve – condividono i senatori presenti – attuare la parte della legge sull’informazione da dare alle donne. Il grido che si leva da Palazzo Madama è che il velo di censura vada tolto, “per la salute delle donne”.

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