Una storia che dà speranza quella di Sara Abbate, giovane imprenditrice che, in un momento storico avaro di opportunità, ha vinto la sua personale sfida con il mercato del lavoro, creando dal nulla una srl d'eccezione: “solopreneur” la chiamano all'estero, una società con, di fatto, un freelance che vi lavora e che la gestisce. Non proprio dal nulla comunque: studi importanti, esperienze in altri settori e, infine, l'essenziale dose di passione (quella per la cosmesi) e coraggio (quello necessario per affrontare il mare magnum dei competitor). Da qui nasce Double B Tailored Beauty, un'esperienza che mette la capacità fuori del comune di “ripensare se stessi” al servizio della cosmetica sostenibile e, dettaglio non da poco, autoprodotta. Un'esperienza “nata per gioco” ma, attraverso l'appoggio di laboratori specializzati in grado di sviluppare e contribuire a migliorare le formulazioni dei cosmetici naturali, diventata un lavoro a tutti gli effetti. Anzi, un'esperienza che è anche fonte d'ispirazione, mirata a offrire prodotti esclusivi e totalmente green in un'ottica, quindi, di spiccata sensibilità ambientale. Una sfida difficile, quella di Sara, ma vinta.
Sara, essere “Solopreneur” è un'esperienza singolare nel nostro Paese. Un'avventura avviata nonostante il tuo percorso professionale sia iniziato in altri ambiti…
“Come no! Io sono laureata in Scienze politiche e ho un master in peackeeping and security studies. C'entra molto con la cosmetica… E' un'esperienza nata un po' per gioco. Io facevo un altro lavoro, ero impiegata come ufficio stampa fiction a Mediaset e mi occupavo della promozione di varie serie. In un pomeriggio in cui non avevo messe in onda, mi sono messa a cercare su Google tutti gli ingredienti della crema viso che utilizzavo, prescritta dal dermatologo e comprata in farmacia. Mi aspettavo quindi fosse perlomeno in regola. Invece ho scoperto che era piena di sostanze derivate dal petrolio. Contemporaneamente, sempre tramite Google, ho scoperto il mondo dell'autoproduzione cosmetica: quindi persone che comprano gli ingredienti e si fanno le creme da sole. Non pensare però a un'autoproduzione domenicale: si parla di alta formulazione”.
Più precisamente?
“Fare un'emulsione cosmetica non è una cosa difficile, si tratta soltanto di mettere insieme una fase acquosa e una fase oleosa – quindi acqua e olio – ma, nel momento in cui lo fai per te e non hai limiti di produzione aziendale, ti scegli gli ingredienti migliori e ce ne metti una buona quantità. E vengono delle vere e prorpie 'bombe' cosmetiche. Quindi ho iniziato per gioco e per me, perché l'autoproduzione a fini commerciali in Europa non è consentita, per tutelare il consumatore. Quando poi il lavoro vero è evaporato, mi sono detta: 'E ora cosa faccio? Mi riciclo in questo settore o provo a fare una cosa completamente diversa?'. E ho scelto questa seconda strada”.
Da qui in avanti come si è strutturata la tua esperienza?
“Ho cercato un laboratorio chimico-cosmetico che producesse le mie formule, dandomi anche una mano ad aggiustarle, perché non avendo fatto quel tipo di studi io sono un'autodidatta. Volevo quindi un chimico-cosmetico che si mettesse accanto a me e mi guidasse, sulle quantità piuttosto che sul tipo di ingredienti da mettere. Ho cercato inoltre un laboratorio che, inoltre, non mi chiedesse dei quantitativi troppo grandi, perché DoubleB è una Srl nata alla fine del 2014 e con un investimento tutto di tasca mia, di circa 20 mila euro. Non potevo quindi permettermi, visto che era una scommessa, diecimila pezzi di crema viso, crema corpo o altro, perché ovviamente sarebbe stato un investimento troppo grande. Tra i vari laboratori coi quali ho parlato ho dunque valutato anche questo, che mi consentisse di fare dei piccoli quantitativi per vedere se effettivamente la cosa funzionava. I cosmetici in Europa, per essere venduti, devono essere prodotti secondo tutti i crismi della produzione: laboratorio autorizzato, rientrare nei parametri richiesti dai test e, infine, essere registrati a un portale europeo che si chiama Cpnp (Cosmetic products notification portal). Dopodiché, possono essere messi in commercio: questi sono i passaggi burocratici che devono affrontare i cosmetici ma ce ne sono anche altri non obbligatori che io ho scelto di fare comunque”.
Ad esempio?
“Il test del nichel, per vedere se ce n'è una percentuale più o meno bassa, per aiutare coloro che sono allergici. Il nichel free non esiste in natura, perché è anche nell'aria che respiriamo, quindi un prodotto cosmetico che non contenga nichel non esiste. Ovviamente, però, si possono scegliere formulazioni che ne contengano una percentuale molto bassa. Oppure, il claim dermatologicamente testato: quello significa che il prodotto è sotto controllo di un medico dermatologo su volontari umani. E questo, di solito, è un test che si fa all'interno degli studi di dermatologia delle università, non è obbligatorio ma se lo fai dai una sicurezza in più al tuo prodotto”.
Ovviamente questo ha rappresentato il passaggio dall'inquadrare quest'attività come una sfida a intenderla un vero e proprio lavoro…
“Sicuramente. Dal momento in cui ho fondato l'Srl è diventato un lavoro a tutti gli effetti. Io sono una sorta di ibrido tra il classico imprenditore con una struttura aziendale sotto di sé che lavora per lui e il freelance, che invece fa tutto da solo. Essendo una srl ho una struttura di questo tipo, però è tutta in outsourcing e questa figura professionale in Italia non è molto conosciuta. Lo è molto di più all'estero, dove viene chiamata 'solopreneur'”.
Una figura ancora in fase di sviluppo forse ma che, alla luce della tua esperienza, ti sentiresti di consigliare come modello per affrontare un momento come quello attuale, in cui continua a regnare una buona dose di incertezza?
“Devo dire di sì, poiché siamo in un momento storico che ti consente di provare questo tipo di attività. Il web ti mette in comunicazione con tutto il mondo e si possono delegare facilmente diversi passaggi della produzione e della logistica a società che fanno questo conto terzi. Ovviamente non parlo solo del mondo cosmetico ma di qualunque settore di tipo commerciale. Quindi, in realtà, il modello convenzionale dell'imprenditore può essere tranquillamente superato, io lo considero quasi obsoleto. Non è più necessario avere l'hardware per fare impresa”.
Una sorta di alternativa, quindi, a quello che è il normale mercato del lavoro…
“Sì, sicuramente. Se il lavoro non c'è puoi provare a inventarlo o, molto più semplicemente, puoi tentare se non ti piace ciò che fai. Nessuno di noi è sposato con il proprio lavoro: quindi, se fai qualcosa che non ti piace, provi a rimboccarti le maniche e a cambiare. Sicuramente non è facile però è fattibile”.
Partire con un investimento importante è certamente impegnativo… Fatto questo passo e avviata la società, hai incontrato difficoltà di altro tipo?
“Ripensando agli ultimi cinque anni, mi guardo indietro e vedo che di errori tecnici ne ho fatti. Ad esempio lavoravo con un sito in wordpress che non funzionava bene e ho dovuto cambiarlo due anni dopo. La difficoltà sicuramente di promuovere un'attività come la mia nel mare magnum della cosmesi. Non considero miei competitor soltanto le altre aziende italiane che fanno prodotti con ingredienti di origine naturale ma chiunque faccia una crema cosmetica, anche se non facciamo lo stesso tipo di prodotto, perché il consumatore può acquistare me o qualsiasi altro brand cosmetico se non conosce il mondo della cosmesi green. Un'altra difficoltà è l'enorme disinformazione che c'è nel settore su quelli che sono gli ingredienti che fanno effettivamente bene alla pelle e quelli che invece non fanno bene né alla pelle e nemmeno al pianeta. Vedo e sento, online, sui social, da parte dei professionisti una difesa di ingredienti di origine sintetica che non solo non fanno bene ma, come i siliconi, sono soprattutto biopersistenti, che hanno cioè un impatto ambientale elevato. Vengono utilizzati in cosmesi perché sono poco costosi, però non hanno proprietà cosmetiche buone né un buon impatto ambientale e continuare a difenderli la trovo una scelta miope”.
A cosa può essere dovuta?
“Io credo che la cosa importante sia avere accesso all'informazione. Poi è giusto che il consumatore decida in maniera autonoma quello che vuole comprare, mangiare o spalmare addosso. Però deve saperlo. Ad esempio la formaldeide, che è un ingrediente conservante, è vietato in Europa nei prodotti cosmetici perché è dimostrato sia cancerogeno. Però, non sono vietati quegli ingredienti che, deteriorandosi, diventano cessori di formaldeide. E questo il consumatore normale non lo sa”.
Ritorniamo quindi a quel deficit di informazione che riguarda non solo il consumatore ma, forse, anche il resto della scala sociale…
“E' un controsenso legislativo. In questo siamo un pochino indietro. Da febbraio 2020, due siliconi volatili – il cyclopentasiloxane e il cyclotetrasiloxane – non potranno più essere utilizzati nei prodotti cosmetici a risciacquo, perché hanno scoperto che sono tossici per l'ambiente acquatico. Bruxelles li ha quindi vietati, dando tempo alle aziende di riformulare questi prodotti, per risolvere il problema. Non hanno però pensato ai prodotti solari: te li spruzzi addosso e, poco dopo, ti fai il bagno nell'ambiente che volevi tutelare. Lavorando nel settore ho fatto di questa professione anche un strumento per cercare di ripulire sia il nostro corpo che il nostro mondo e, per farlo, ho raccolto queste informazioni. Il consumatore medio, però, di queste non è a conoscenza e, per questo, non presta attenzione a tali dettagli”.
Ulteriori obiettivi?
“I prossimi passi saranno indirizzati verso nuovi prodotti ancora più attenzionati al fine di non gravare sull'ambiente. E, allo stesso tempo, anche di packaging ancora più sostenibili e riciclabili. Mi piacerebbe arrivare al vuoto a rendere, quindi all'eliminazione del packaging per avere un impatto ambientale ancora minore. Questo, ovviamente, ragionando nell'ottica di un prodotto come la cosmesi che, non essendo necessario alla sopravvivenza, è giusto che non crei problemi all'ambiente nel quale è creato”.