Malefico e orribile flagello” lo ha definito il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Dopo la crudele e violentissima aggressione subita in casa dal rabbino di Monsey, sobborgo nella contea di Rockland, 50 chilometri a nord di New York, proponiamo alcune riflessioni. In terris monitora e denuncia costantemente gli atroci rigurgiti antisemiti che, in varie modalità e con atti e manifestazioni differenti, infestano il terzo millennio globalizzato. Il mese scorso, all'udienza generale in piazza San Pietro, papa Francesco ha pronunciato un'irrevocabile e netta condanna: “Perseguitare gli ebrei, come sta ricominciando ad avvenire, non è umano né cristiano”. E nella catechesi sugli Atti degli Apostoli ha aggiunto a braccio: “Il popolo ebraico ha sofferto tanto nella storia, è stato cacciato e perseguitato. Nel secolo scorso abbiamo visto le tante brutalità compiute ai danni di questo popolo. Eravamo convinti che tutto questo fosse finito ma oggi incomincia a rinascere qua e là l'abitudine di perseguitare gli ebrei. Fratelli e sorelle, questo non è umano né cristiano. Gli ebrei sono fratelli nostri e non vanno perseguitati. capito?”.
Senza pretesti
Don Aldo Buonaiuto, sacerdote di frontiera della comunità Papa Giovanni XXIII impegnato in prima linea contro le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani afferma che “deplorare e respingere ogni forma di antisemitismo deve essere il comune denominatore della civiltà umana uscita dall'abisso aberrante della Shoah: la condanna dell'antisemitismo deve essere universale e inappellabile, mentre le singole vicende vanno raccontate, approfondite e analizzate nella loro specificità per togliere qualunque alibi politico o religioso ai criminali che compiono atti disumani e crudeli come quelli che sempre più spesso le cronache dei mass media riportano in tutto il mondo”. Il “vaccino contro il ritorno delle più vergognose e tragiche pagine della storia“, evidenzia don Buonaiuto, è costituito “da un'azione collettiva di azzeramento delle falsità e dei pregiudizi che hanno la diabolica funzione di catalizzare frustrazioni e rivendicazioni basate sull'ignoranza e sull'odio”. Quindi “conoscere il passato, studiare il presente e costruire il futuro su una memoria condivisa e pacificata”, altrimenti “la mediatizzazione dei gesti violenti rischia di produrre un effetto emulazione in grado di vanificare qualunque tentativo di riportare ciascuna situazione storica, politica e georeligiosa alla propria effettiva realtà. E, prosegue don Buonaiuto, “l'obiettivo di papa Francesco, come già quello dei suoi predecessori San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, è togliere qualunque ignobile pretesto strumentale all'antisemitismo e a qualunque violenza perpetrata di nome di Dio”.
La lezione del passato
In un libro del direttore della Stampa, Maurizio Molinari,(Duello nel Ghetto-la sfida di un ebreo contro le bande neofasciste nella Roma occupata, Rizzoli), si trova un'esempio del “vaccino della conoscenza” definito da don Buonaiuto “l'unico antidoto all'antisemitismo”. Sono passati 74 anni da quando Pacifico Di Consiglio soprannominato “Moretto” è riuscito a scampare alle atrocità del fascismo, delle quali ancora oggi poco si parla, e la sua storia per troppo tempo è rimasta nell’ombra, sepolta dall’oblio e dal trascorrere del tempo. “Tutto si svolge durante l’occupazione nazista da parte delle truppe del colonnello Kappler del Ghetto di Roma in un clima di paura e di estrema tensione, fra il settembre 1943 e il giugno del 1944- sottolinea Bet magazine-. A quel tempo il Ghetto era controllato da spietate bande di fascisti, che umiliavano, picchiavano e saccheggiavano gli ebrei. Fra questi c’era anche il temibile Luigi Roseli, a capo di questi gruppi, formati dai più infimi e ignoranti uomini del regime fascista, un branco di individui di basso livello e senza scrupoli, che cominciarono a perseguitare sempre di più la popolazione ebraica”. Gli ebrei del Ghetto erano dunque terrorizzati da continue violenze e vessazioni e molti scappano. “Si rifugiarono in conventi, associazioni cattoliche e da circa 8 mila ebrei che vivevano nella Piazza, nome alternativo del Ghetto romano, ne rimasero sempre meno”. Uno di questi era “un certo Moretto, un ribelle solitario ex pugile che rimase solo nel Ghetto a combattere coi fascisti fra mille difficoltà”. Moretto a Roma se lo ricordano ancora. Il suo vero nome è Pacifico di Consiglio e nel 1943 è l’unico ebreo romano che durante l’occupazione nazista resta in città per dare la caccia ai suoi persecutori. Pugile dilettante, la vita di Moretto, come quella di tanti ebrei romani, cambia dopo il 1938. Ma a differenza di altri, Moretto trova il modo per ribellarsi. Fa innamorare la nipote di Luigi Roselli, uno dei più spietati e pericolosi collaboratori italiani dei nazisti, e, grazie alle informazioni della giovane, lancia una sfida alle bande comandate dal colonnello Kappler, capo della polizia tedesca di Roma. Arrestato due volte, riesce sempre a fuggire mettendo in atto stratagemmi e altri intrighi, continuando a combattere contro centinaia di spie, delatori e poliziotti fascisti.Il Duello nel Ghetto di Roma fra Moretto e Roselli si gioca tutto nel quartiere a ridosso del Tevere. Una manciata di strade fino a pochi anni prima orgoglio di convivenza e poi diventate teatro di un mondo braccato: famiglie numerose nascoste nel timore della cattura, uomini obbligati a pagare affitti da capogiro a protettori-sfruttatori, donne e bambini rifugiati in conventi dove spesso tentano di convertirli, sopravvissuti per caso o fortuna al 16 ottobre tornati a risiedere nel Ghetto sfidando la sorte. Per costoro scarseggia il cibo, la morte è in agguato, non possono fidarsi di nessuno ma le voci che si rincorrono su Moretto dimostrano che si può continuare a resistere.