L’adolescenza è un un momento particolare dell’esistenza di ogni persona. Per affrontarla nel migliore dei modi c’è bisogno di modelli da seguire che spieghino che si tratta di una fase ponte che va attraversata come un passaggio fondamentale durante la quale è necessario costruire relazioni forti e gettare le basi della vita adulta. Purtroppo però la realtà è diversa, e sono molti i ragazzi che non trovano figure di riferimento su cui poggiare. Inizia in questo modo la triste convivenza con situazioni di profondo disagio, che fin da principio è fondamentale sradicate.
Fondazione Exodus
Nasce nel 1984 da un’idea di don Antonio Mazzi e da allora l’obiettivo resta quello di intervenire su qualsiasi tipo di disagio giovanile. Lo fa lavorando in contesti di normalità, stando accanto ai giovani più fragili e alle loro famiglie e promuovendo ambienti dove è possibile sperimentare la dimensione della casa e della socialità, attraverso l’educazione e la riscoperta della propria identità.
L’intervista
Interris.it ne ha parlato con don Antonio Mazzi, presidente di Fondazione Exodus, che da pochi giorni ha festeggiato il suo novantaquattresimo compleanno, attorniato dall’affetto dei suoi ragazzi. Don Antonio in tanti anni non ha mai smesso di donare la sua vita a questi giovani e per farlo recentemente ha anche lanciato il progetto «Sos Adolescenti» che amplia il servizio di ascolto e di accoglienza per giovani e famiglie.
Don Antornio, Exodus a chi vuole dare una riposta?
“A tutti gli adolescenti che presentano dei problemi di vario genere e non solo, come si potrebbe pensare, di tossicodipendenza. Il primo vero problema che noi denunciamo è la solitudine che si avverte già all’interno alle mura di casa, dove manca un dialogo profondo e i ragazzi si sentono soli. L’unica relazione che conoscono è quella con il cellulare che permette loro di illudersi di essere in contatto con l’altro, ma in realtà li isola ancora di più. Purtroppo non si conosce il senso vero della parola amicizia, perché non esiste più l’amico come lo abbiamo sempre concepito noi e tutto questo provoca negli adolescenti un grande disagio”.
L’adolescenza è cambiata, gli adulti lo hanno capito?
“Lo intuiscono, ma non hanno gli strumenti per comportarsi di conseguenza. Gli stessi specialisti devono smetterla con le vecchie di teorie e si devono adattare a un mondo che è cambiato. Prima si pensava che i disagiati fossero esclusivamente chi viveva in una condizione vulnerabile e disperata e che dunque ricorreva all’uso di droghe, ora invece sono i ragazzi, considerati normali, ad essere assaliti da disagi di vario tipo. Il compito di noi adulti è quello di comprendere questo cambiamento e di intervenire per non permette che i nostri giovani possano intraprendere strade tossiche e sbagliate”.
Gli adolescenti temono il futuro?
“Loro non hanno paura, ma hanno bisogno che qualcuno li aiuti ad interpretarlo.Serve un adulto, un padre che diventi un modello da seguire, invece ci troviamo a fare dei conti con degli adulti che sono diventati solo vecchi e con padri, che non sono più capaci di interpretare e di vivere le difficoltà o di perdonare i figli. Questo perché la nostra società, fatta di consumismo, ha preso il sopravvento e il desiderio di guadagno viene prima anche della voglia di insegnare a vivere al proprio figlio”.
Lei don Antonio un padre non ce l’ha avuto, dove ha trovato questa figura?
“La mia è stata un’adolescenza un pò problematica, ho perso mio padre quando avevo solo sei mesi e mia madre lavorava tutto il giorno per mantenere me e miei fratelli. Io ero il più scapestrato di casa e se non fosse stato per mio nonno Giuseppe, che mi ha preso sotto le sue ali, probabilmente avrei fatto una brutta fine. Lo spartiacque della mia intera esistenza è avvenuto nel 1951 con l’esondazione del Po.Ho accolto un appello dei vigili del fuoco che cercavano volontari che aiutassero a salvare le persone che erano scappate dalla furia dell’acqua sopra i tetti delle case. Quelle notti in barca, sballottato dal un fiume in piena, ho visto gli occhi pieni di lacrime, ho sentito le urla dei bambini che piangevano le loro mamme e i loro papà, morti annegati. In quei momenti sconvolgenti, ho incontrato Dio, l’ho riconosciuto come Padre e ho deciso che io stesso volevo diventare il padre di tutte quelle persone. Ancora oggi, dopo settant’anni io, prima di essere un prete, voglio essere padre dei miei ragazzi».
Don Antonio, il Natale è alle porte, che cosa augura ai suoi giovani?
“Il Natale di quest’anno è molto triste perché viviamo in un mondo in guerra, in una società con un’educazione che sta vivendo una profonda crisi e con un concetto di pace molto distorto, in quanto assistiamo ad un armistizio che per me non è altro che una bugia della pace. Il mio augurio invece, è che tutti i ragazzi possano vivere in un ambiente familiare sereno in cui possano imparare a tessere delle relazioni profonde e che dia loro la capacità e la possibilità di scoprire il prezioso ed inestimabile dono dell’amicizia vera”.