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De Michele, le inchieste nelle terre dei clan: “Serve una coscienza civile”

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Anni di giornalismo in prima linea, una voce di chi sa bene ciò che fa e il motivo per cui lo fa. E, perché no, anche una citazione musicale a fare da corollario. Che qui non fosse Hollywood, come cantavano i Negrita, lo si sapeva da un pezzo. E non è finzione nemmeno lo spaccato sociale dell'hinterland casertano, dove Mario De Michele, direttore del sito d'informazione Campania Notizie, vive e conduce inchieste, fra degrado sociale, ombre dei clan e implicito desiderio di riscatto. Proprio quelle inchieste lo hanno portato a subire, non più tardi di qualche giorno fa, un attentato a colpi d'arma da fuoco. Non la prima aggressione subita. E' vivo per miracolo ma, nell'ambito del discorso, l'episodio terribile si sfiora appena: c'è tanto insegnamento nel suo lavoro e nei suoi racconti, di un impegno continuo a servizio del territorio che lo ha cresciuto, che lo ha visto parte motrice come giovane, come politico attivo ma, soprattutto, come cittadino che la sua realtà di vita la conosce bene. Quasi impossibile non farsi voce di quella gente, che ha bisogno innanzitutto di riscoprire il senso dell'informazione, quella vera, dalla quale ripartire per ricreare da zero un tessuto sociale comune. E crescere di nuovo, insieme.

 

Mario De Michele, farsi voce del e per il proprio territorio rappresenta forse il dovere etico di ogni giornalista. In questo senso, il tuo impegno parte da molto lontano…
“Rivendico fin dall'adolescenza la mia vita sociale e anche l'aver vissuto il mondo della Chiesa. Io, come impegno, nasco nell’Azione Cattolica. Questa esperienza nel mondo del sociale mi è stata molto utile: confronto con le persone, cittadinanza attiva… è stato tutto molto formativo. Dopodiché, avendo la politica – nel senso etimologico del termine – e l’impegno civico nel sangue, ho fatto politica attiva con Rifondazione comunista. Il mio orientamento culturale non è stato più quello religioso, sono diventato un 'ateo impenitente', come direbbe Odifreddi. Prima dell’approccio al partito, comunque, ho svolto attività nel mondo dell’associazionismo, dei laboratori culturali: mi piace citare, come esperienza molto formativa, l’impegno nella libreria Quarto Stato di Aversa, dove creammo un gruppo di lavoro per il territorio. In seguito, ho fatto il dirigente di partito, l’assessore comunale della mia città, Cesa, consigliere comunale e del Comitato regionale di Rifondazione comunista. L’allora segretario provinciale Enrico Milani è stato un punto di riferimento per me, soprattutto sotto il profilo umano. A un certo punto, la politica nel suo senso letterale non mi ha più attirato, anche perché stavamo andando verso la fine dei partiti, dell’impegno politico disinteressato. Quindi ho deciso di passare al mondo del giornalismo, perché la lettura e la scrittura sono state sempre la mia passione, fin da piccolissimo”.

Svolgendo tutta la gavetta, nel vero senso di questo termine…
“Ho iniziato con Lo Spettro, un quindicinale che aveva come riferimento 'uno spettro si aggira per l’Europa'; ho poi collaborato con Il Mattino, redazione di Caserta. Entrambe sono state due palestre importanti sotto il profilo professionale. Sono rimasto allo Spettro anche quando è diventato quotidiano, come redattore, dopodiché sono passato al Giornale di Caserta. Durante questa importante gavetta, ho conseguito dapprima il tesserino da pubblicista e, successivamente, ho sostenuto l’esame per il professionismo. Ho iniziato poi la collaborazione anche con TeleLuna – che faceva parte di un unico network con lo stesso quotidiano – avendo quindi la possibilità di fare esperienze televisive come interviste video, tg, ecc… Poi il Giornale di Caserta si è trasformato in Buongiorno Campania, composto da una redazione di Caserta, di cui ero caporedattore, e una di Avellino. Poi, per dissidi sulla linea editoriale, feci quello che all’epoca sembrava un salto nel buio ma che poi mi ha dato la possibilità di esprimermi come giornalista: nel 2011 lasciai, anche in modo brusco, Buongiorno Campania e fondai il portale CampaniaNotizie.com. Da allora ho iniziato a divertirmi come giornalista: purtroppo, in particolare dalle nostre parti, c’è un problema con gli editori e con gli organi di informazione in genere. C’è una sorta di ‘libertà limitata’ dovuta a rapporti con la politica o con il potere in generale, per cui la libertà del giornalista, inevitabilmente, viene fortemente limitata salvo qualche eccezione”.

Una situazione che ha reso difficile farti largo con la tua nuova testata?
“Sono ripartito da zero ed era davvero un salto nel buio in quanto, a 39 anni, ero già sposato, con un figlio e lasciavo un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio fisso. Da un punto di vista professionale è stata comunque la scelta migliore quella di fondare quel portale e fare giornalismo in totale autonomia. Fu molto importante l’appoggio di mia moglie che, in quel momento, mi diede quel supporto familiare che, se non ci fosse stato, avrebbe reso tutto molto più complicato. Quella scelta fu azzeccata da un punto di vista dell'informazione e della linea editoriale, due cose connesse ma diverse. Anche come scelta di vita, perché ho lavorato con sacrificio ma con maggior soddisfazione professionale. Ci tengo però a dire che sia l’esperienza nell’Azione cattolica e nelle associazioni impegnate nel territorio, sia la lunga militanza nel mondo politico, sono state fondamentali per la mia formazione come uomo e giornalista”.

Ed è attraverso questa importante palestra che hai sviluppato quello che sarebbe diventato il tuo percorso professionale, quello del giornalismo d'inchiesta?
“Sì, nel senso che la formazione e la gavetta sono importanti, perché danno la possibilità di essere più dediti al sacrificio. Infatti, pur essendo stati anni infernali, sono stati estremamente forgianti, soprattutto da un punto di vista della resistenza psicofisica all’attività. Da fuori questo viene visto come un lavoro affascinante ma può essere massacrante, specie nelle piccole realtà. Nel mio percorso di crescita vorrei citare la professoressa Liliana Ferrara, del Liceo Classico 'Cirillo' di Aversa, colei che mi ha fatto scattare la scintilla per il giornalismo, perché aveva un metodo di insegnamento, in anni in cui la scuola era molto più tradizionale, che prevedeva la lettura dei giornali, il commento a un articolo, cercando di darci una visione del mondo che andasse al di là delle mura scolastiche. Debbo dire che devo a lei questa propensione all’essere informato e a informare. Ed è da questo impegno civico che nasce il desiderio di fare inchiesta. Nel nostro territorio, quando questo è fatto in modo disinteressato, si associa a battaglie di giustizia, di legalità, per l’eguaglianza e a sostegno delle fasce più deboli, che non solo sono quelle non solo più bistrattate ma anche una bella fetta della popolazione. La zona dove operiamo maggiormente si trova al confine tra Caserta sud e Napoli nord: sotto il profilo della criminalità organizzata io la definisco la zona rosso fuoco: grazie al lavoro dei magistrati e delle Forze dell’ordine la cupola dei Casalesi è stata abbattuta, però adesso c’è una concentrazione di criminalità organizzata nell’area dell’antica Atella, Succivo, Frattaminore, Frattamaggiore… Questi comuni sono le aree sulle quali mi sono soffermato di più. Uno degli aspetti fondamentali, al di là della presenza di gruppi criminosi che non sono più strutturati come un tempo ma hanno una presenza territoriale, riguarda le amministrazioni locali, il cui livello è arrivato, passami il termine, a ‘sotto il sottosuolo’: sia su un piano morale che civile, culturale, si è scesi così tanto da farmi rimpiangere la Prima Repubblica, contro i cui politici io mi sono sempre battuto. Sotto il profilo politico per me è stato un fallimento totale perché, forse per nemesi storica, mi sono trovato a 47 anni a rivalutare quelle personalità. Il livello attuale è davvero osceno”.

Amministrazioni di minor livello significa maggior proliferazione delle attività criminali? A questo è dovuto il “deficit” della politica locale attuale?
“No, assolutamente. Da fine anni 2000 c’è stata una risposta fortissima in termini di repressione da parte dello Stato, che ha portato alla quasi totale demolizione della piramide dei Casalesi. E per questo dobbiamo ringraziare Magistratura, Forze dell’ordine e anche quella fetta di società civile che si è attivata per una rinascita dell’area considerata all’epoca il quadrilatero della camorra (Casal di Principe, Villa Literno, Casapesenna e San Cipriano d’Aversa). La cupola è stata ridimensionata ma c’è da fare molta attenzione, perché molti affari si sono spostati altrove. Il degrado al quale siamo giunti oggi è legato a una questione politica: a mio avviso, la politica finisce con l’inizio della Seconda Repubblica, che inaugura la morte dei partiti e del loro ruolo di raccordo tra istanze sociali e istituzioni. I partiti erano un filtro, svolgevano questo ruolo anche se a volte in modo contraddittorio e con tutti quei comportamenti che vanno condannati. L’assenza di questo corpo intermedio, ha fatto sì che non ci fosse più una classe dirigente e, negli anni, si è andati negli anni via via peggiorando, dopo una stagione che è stata definita il Partito dei sindaci. Si è avutto un effetto domino che ha riguardato un po’ tutta la società civile: il mondo della Chiesa, perché gli oratori non hanno più svolto la funzione di un tempo; quello della scuola, che fra riforme e controriforme è stato devastato; il mondo delle professioni e del giornalismo, dell'imprenditoria… C’è stato un livellamento verso il basso. Mi viene in mente 'Memorie del sottosuolo' di Dostoevskij: ci troviamo in questo stato perché si è sfilacciato il tessuto che si vedeva attorno a una classe dirigente che, pur rimarcandone sempre le distorsioni proprie della Prima Repubblica, era di qualità superiore. Se ho avuto un riscatto, una chiusura del cerchio professionale nel fondare CampaniaNotizie, è stata invece una sconfitta politico-sociale quella di trovarmi oggi, a 47 anni, a dover rimpiangere quel sistema politico che ho combattuto”.

Rivendicare anni di lotta ma poi fare i conti con il rimpianto di ciò che si è combattuto vuol dire che qualcosa non ha funzionato… Dov'è il nodo?
“Ti faccio un esempio, senza voler assumere un atteggiamento nostalgico: oggi si vedono i giovani pensare attraverso gli input che arrivano dalla tv commerciale, dalla tv spazzatura, dai social network che hanno contribuito, attraverso un loro errato utilizzo, a far proliferare i ragionamenti di pancia e non di testa dell’opinione pubblica. Si assiste al loro totale disinteresse per il proprio territorio, si preferisce un cellulare mentre noi stavamo nelle piazze, a discutere di politica, anche estera. Anche mio figlio, 14enne, si troverà a vivere in un contesto deteriorato sul piano socio-culturale. La classe dirigente è un po’ lo specchio della società e oggi, in quelle più degradate, abbiamo livelli politicamente molto bassi. Un aspetto che deteriora soprattutto a livello delle amministrazioni locali. La maggior parte degli amministratori attuali del Casertano sono in un certo senso spuntati dal nulla, senza attività sociali o associative alle spalle. C’è quindi un’incapacità nel cogliere le dinamiche del territorio. A questo si associa un cambiamento di pelle della camorra, perché troviamo, in molte realtà, degli amministratori locali collusi o espressione diretta di alcuni clan. Sia chiaro, questo non coinvolge le intere amministrazioni comunali ma solo alcuni soggetti. Sarebbe assolutamente sbagliato generalizzare”.

Questo mutamento sta emergendo sempre più di frequente, come se la criminalità organizzata si adeguasse ai tempi che mutano… Chi, come te, fa un'opera rischiosa di servizio alla cittadinanza, teme che con la vostra generazione finirà anche l'interesse a dar battaglia per la propria terra?
“Per 'giovane' io intendo il motore propulsivo della società. La tragedia è che questo motore non c'è più e qui sta anche il mio rammarico per gli anni che furono. E pensare che la mia generazione, quando si batteva in piazza, era già in una fase calante. Io non vedo un futuro migliore rispetto all'attuale stato delle cose. Vedo prevalere il motto drammatico 'al peggio non c’è mai fine', non per fatalismo ma perché non vedo spiragli di ripresa se non piccole oasi nel deserto. Non c'è una classe dirigente di livello, né una ricostruzione di quel tessuto sociale in grado di cambiare le cose, di impegnarsi e sacrificarsi per il territorio senza tornaconto personale. Prima la candidatura con una partito era una gratificazione, ora ci si chiede cosa si ottiene in cambio. Se l’approccio è questo, significa che dobbiamo ripartire da zero. Questo non significa perdere le speranze ma avere la giusta consapevolezza per avviare un percorso: dobbiamo farlo seriamente, non a chiacchiere. Io odio i finti paladini della legalità, i professionisti dell’anticamorra, la mistificazione del mondo del volontariato, che per me significa spendersi gratuitamente. Il mio impegno per il territorio non è straordinario, deve apparire normale. Basta con gli eroi, con la storia del personaggio. Dobbiamo tornare a essere persone, perché io vedo una disumanizzazione dovuta anche a quello che chiamiamo 'webetismo'… Se torniamo a essere umani, come dice la Costituzione, poi tutto viene naturale, perché l’indole dell’uomo è associativa, di comunità”.

Il tuo lavoro lo hai portato avanti, nonostante le situazioni di pericolo vissute… ritieni che possa, in qualche modo, far breccia nelle coscienze di tutti e risvegliare in qualcuno il desiderio di spendersi davvero per il suo territorio?
“Con classe dirigente intendo il mondo della società civile vera, compresi noi giornalisti. Dobbiamo, noi per primi, scendere dal piedistallo, dal quale si punta il dito per poi magari fare un giornalismo pessimo. Un altro problema che abbiamo in Italia, a mio avviso per colpa dei social, è che i cittadini non vogliono più essere informati ma vogliono sentirsi informati. È una cosa completamente diversa. Il nostro compito di giornalisti è informare in modo quanto più libero possibile e, soprattutto, quanto più utile alla crescita della coscienza civile dei cittadini. L’informazione non è solo dare conoscenza delle questioni ma anche offrire un contributo alla crescita del territorio. Conoscerlo significa provare a ragionare sulle soluzioni per risolverne i problemi. Si deve formarla questa classe dirigente, magari ci vorranno vent’anni ma intanto bisogna iniziare. Le forze che abbiamo citato devono mettersi in rete per ripartire”.

Damiano Mattana: