Tecnicamente si chiamano “haters” (“odiatori”), ma c’è chi, ironicamente, li definisce “leoni da tastiera“, descrivendo così la loro attitudine a nascondersi dietro il mezzo informatico per non affrontare direttamente le persone e le categorie contro cui vomitano il loro disprezzo. Ma c’è poco da scherzare, perché il fenomeno è in crescita e resiste alle recenti policy adottate dalle governance dei social network.
Genesi
Il web ha dato modo a questa minoranza, un tempo silenziosa e rintanata nelle proprie frustrazioni, di esprimersi liberamente e senza limiti. Ne sono usciti gruppi Facebook in cui viene catalizzato l’odio, il disprezzo e qualsiasi altro sentimento negativo nei confronti di questa o quella persona, categoria, fede, appartenenza etnica e di genere. Non mancano poi veri e propri “lupi solitari” (i cosiddetti troll) che intervengono in discussioni pubbliche al solo scopo di imporre il proprio pensiero, insultando quanti controbattono alle loro affermazioni o, semplicemente, vedono le cose in modo diverso. Torna in mente Umberto Eco quando sosteneva che i social media hanno “concesso la parola a legioni di imbecilli”.
Immigrati nel mirino
I target degli haters, come detto, sono vari. Ma è possibile individuare alcune categorie più bersagliate di altre. A partire dagli immigrati. Su alcuni siti e pagine fan che fanno parte della galassia dell’estrema destra sono quotidianamente postate notizie riportanti fatti di cronaca attribuiti ai migranti, allo scopo di facilitare nel lettore l’associazione tra crimine e profughi. In alcuni casi si tratta di episodi realmente accaduti che vengono enfatizzati, in altri di vere e proprie fake news. Tempo fa, ad esempio, su uno di questi siti venne pubblicata la “notizia” (poi rimossa) secondo cui l’ex ministra dell’Integrazione, Cecile Kyenge aveva definito l’Italia un “Paese di m…“. Nello stesso articolo veniva poi riportata l’intenzione dell’allora esponente del governo Letta di costituire uno Stato indipendente riservato agli immigrati in Italia. Una bufala che, tuttavia, ha ottenuto centinaia di visualizzazioni e decine like da parte degli utenti. A lasciare basiti è, però, il tenore dei commenti ai vari pezzi postati. Sotto l’articolo “Torre del Greco dice no a 300 migranti“, un lettore scrive: “E mo che ce famo? Il sapone no perché puzza, il concime no perché puzza, il catrame no, perché puzza, l’unica soluzione è il mangime per i pesci”. A corollario di un pezzo riguardante l’arresto per terrorismo a Torino di un cittadino marocchino ospitato per nove anni da una famiglia italiana un utente scrive: “Devono arrestare anche quella vecchia T…a che se lo teneva in casa per farsi sc…re come una T…a”.
Misoginia e stupri virtuali
Le donne, del resto, sono un altro target degli haters. Decine di gruppi Fb sono spudoratamente misogini, pieni di squallide battute a sfondo sessuale. Su uno di questi, che ha raggiunto i 20 mila iscritti, vengono postate, fra le altre, foto di ragazze e signore colte in pose considerate allusive (ad esempio mentre provano un paio di scarpe col tacco o un vestito particolarmente aderente). Seguono commenti dal tenore inconfondibile (“ti farei questo” “ti farei quest’altro” e così via). Una vera e propria istigazione alla violenza sessuale. Altri gruppi sono dedicati alla condivisione di immagini di amiche attraenti, per consentire agli utenti di praticare l’autoerotismo. E lo stesso avviene in pagine riservate alla pubblicazioni di immagini di Vip. Un altro ancora era dedicato solo alla raccolta di post sessisti contro le donne. Aberrante quanto accaduto all’atleta paralimpica Bebe Vio, protagonista inconsapevole di una pagina Fb nella quale se ne promuoveva lo stupro. Il fatto è stato reso noto dal Codacons e dalla stessa sportiva (che ha denunciato gli autori) e la fanpage è stata chiusa. Anche all’estero sono state individuate realtà social in cui si incitava alla violenza sessuale. In una pagina creata in Australia venivano postate dettagliate descrizioni di stupri di gruppo, consigli su come costringere una donna ad essere sodomizzata e inviti a spammare immagini pornografiche agli utenti di sesso femminile. Il gruppo, segnalato da alcuni users, è stato chiuso. Stesso destino è toccato a una community francese di simile tenore.
Le altre vittime
Oltre alle donne e agli immigrati a finire nel mirino degli haters sono anche minoranze, come gli ebrei e gli omosessuali, e le fasce più fragili della società, ad esempio i portatori di handicap. Nel tentativo di avere un quadro più dettagliato del fenomeno Voxnews, insieme alle università di Bari, Milano e La Sapienza di Roma, ha analizzato, tra agosto 2015 e febbraio 2016, oltre 2,6 milioni di tweet riferiti alle categorie più spesso oggetto di messaggi offensivi. Ne è emersa un’infografica dell’intolleranza in Italia. Le donne sono le principali vittime degli “odiatori” (63% dei casi), seguite dai gay (10,8%), dai migranti (10%), dai portatori di handicap (6,4%) e dagli ebrei (2,2%).
Rimedi
Sradicare il fenomeno degli haters non è semplice. Tutti i social network prevedono sistemi che consentono di segnalare i contenuti speciosi con conseguente verifica e chiusura del gruppo o della pagina fan. Nei casi in cui si ravvisi la commissione di un reato è invece fondamentale la denuncia alle autorità competenti (come la Polizia Postale). In generale, però, ciò che serve è un cambiamento culturale. Internet e i social media sono, infatti, spazi troppo vasti per assicurare un controllo pieno ed efficacie. Istituzioni e gestori sono allora chiamati a lavorare affinché gli utenti acquisiscano piena consapevolezza di quanto può essere pericoloso fomentare sentimenti negativi. Non sapremo mai chi ci legge dall’altra parte del monitor e cosa potrà fare nel momento in cui avvertirà che il suo odio per il prossimo è largamente condiviso.