Quattro condanne e nove assoluzioni: è il verdetto del tribunale di Arezzo per il processo, nell'ambito dell'inchiesta sul crac di Banca Etruria, che riguarda il filone della truffa, che vedeva alla sbarra ex dirigenti e funzionari dell'istituto di credito aretino, accusati di aver truffato i risparmiatori non informandoli sui rischi delle subordinate emesse da Bpel (Banca popolare dell'Etruria e del Lazio) in due tornate, luglio e autunno del 2013, e poi azzerate dal decreto Salva banche. Assolti perché il fatto non sussiste e non è stato commesso alcun reato gli imputati principali, i dirigenti Luca Scassellati, Federico Baiocchi Silvestri, Samuele Fedeli e Luigi Fantacchiotti, che dovevano rispondere di istigazione alla truffa, per i quali il pm Iulia Maggiore aveva chiesto condanne tra 3 anni e 2 anni e mezzo perché, secondo l'accusa, avrebbero pressato i direttori delle filiali a vendere le obbligazioni subordinate a un pubblico indistinto. Degli altri nove imputati, direttori di filiali e impiegati che materialmente vendettero i titoli ai risparmiatori, accusati di truffa aggravata e per i quali era stata chiesta la condanna a un anno e mezzo di reclusione, cinque dipendenti della banca sono stati assolti con la stessa formula dei quattro dirigenti, mentre quattro funzionari sono stati condannati a dieci mesi con la non menzione. “Con la nostra presenza qui intendiamo dimostrare che i risparmiatori traditi seguono con grande partecipazione i processi perché chiedono giustizia”, spiega a In Terris Letizia Giorgianni, leader del comitato “Vittime del salva-banche”.
Il filone della truffa
Al tribunale di Arezzo i difensori dei 14 imputati hanno richiesto l’assoluzione: ex dirigenti e funzionari dell'istituto di credito aretino sono accusati di aver truffato i risparmiatori non informandoli sui rischi delle subordinate emesse da Bpel in due tornate, luglio e autunno del 2013, e poi azzerate dal decreto salva-banche. “In aula abbiamo sentito dichiarazioni di una gravità sconvolgente – afferma Giorgiann i-. Quando abbiamo fatto nel 2015 le prime denunce non potevamo immaginare, come ora sta emergendo, che esistesse al vertice dell’istituto una vera e propria cabina di regia per vendere prodotti finanzi ad elevato rischio a un pubblico indifferenziato”.
Impiegati e casalinghe
La leader del comitato “Vittime del salva-banche” descrive a In Terris come è nata e cresciuta la mobilitazione che ha inondato di denunce la procura. “Quando nel 2015 scesero in piazza le prime proteste fu subito evidente che a manifestare erano casalinghe e impiegati, cioè profili lontanissimi dalle acrobazie finanziarie e nel cui portafoglio tutto dovevano esserci fuorché azioni e obbligazioni di Banca Etruria – sottolinea Giorgianni -. I risparmiatori truffati avevano comprato questi prodotti finanziari senza essere a conoscenza dei rischi. Quando la Guardia di Finanza, mossa dalla procura di Arezzo, ha perquisito l’amministrazione centrale dell’istituto ha scoperto una lettera in cui il consiglio di amministrazione di Etruria invitava i direttori delle filiali a vendere obbligazioni di Etruria. E ciò avveniva senza profilare i clienti, cioè senza classificare la loro attitudine al rischio negli investimenti, come prevede la legge”. Inoltre “nell’istituto sono accadute altre cose sconcertanti: per esempio, si concedevano fidi a società non ancora costituite”.
I vertici imputati
Oggi, dunque, il giudice Angela Avila stabilirà se c’è stata una truffa Etruria sul collocamento delle due emissioni subordinate dell’estate ed autunno 2013 (quelle azzerate appunto dal decreto salvabanche del 22 novembre 2015) ed eventualmente chi l’ha commessa. Il comune di Arezzo è parte civile al processo Banca Etruria che vede imputati i vertici della banca per i reati di bancarotta. Il comune chiede il risarcimento per due tipologie di danno: anzitutto il rilevante danno all'immagine che la vicenda Banca Etruria ha provocato alla città, risultata per molti articoli di stampa come una realtà fatta di malaffare e pratiche illecite. In secondo luogo il comune, in rappresentanza della collettività aretina, chiede anche il risarcimento dei danni subiti dal territorio e dalle imprese in generale, che consistono nella successiva difficoltà di accesso al credito e nella diminuzione dei finanziamenti alle iniziative culturali. Il giudice ha ritenuto che il comune di Arezzo sia legittimato a pretendere in seno al processo penale il risarcimento di tali danni, che in ogni caso dovranno essere dimostrati.
Il J’accuse del liquidatore
Giuseppe Santoni, liquidatore di Banca Etruria, ha stigmatizzato il modo di amministrare l'istituto di credito da parte degli esponenti aziendali. In aula Santoni ha chiarito in particolare quanto è stato fatto nei 10 mesi di amministrazione straordinaria per tentare il salvataggio dell’istituto.
“La spaventosa gravità della situazione – ha spiegato Santoni – era emersa già nel novembre 2014 quando ci fu l'ispezione di Banca d'Italia. Gli ispettori rilevarono un numero anomalo di posizioni creditizie erogate in conflitto di interessi”. Ovvero 198 posizioni di fido della banca affidate ad esponenti aziendali (consiglieri di amministrazione o sindaci), per un totale di 185milioni di credito erogato. Di questi 40 milioni erano a incaglio e 11 imputati a sofferenze, altri 18 furono azzerati. Al settembre 2014 in pratica 80 milioni erano diventati 'posizione anomala'. Secondo Santoni “la banca di fatto veniva utilizzata come un bancomat da alcuni esponenti aziendali”.
Istituto “fuori gioco” già nel 2015
Già nel febbraio del 2015 Etruria “non era più in grado di fare la banca”. Il patrimonio netto (che nel 2014 era 7 miliardi di euro)” era sceso a 22 milioni e mezzo in seguito ad una ultima svalutazione”, quindi secondo Santoni “la banca era fuori gioco e ha potuto sopravvivere ancora solo perché era in amministrazione straordinaria”. Al 22 novembre 2015 ci fu una ulteriore svalutazione. Il patrimonio netto scese a un milione di euro. Poi con le successive svalutazioni arrivò a meno 300 milioni.”. Per Santoni a provocare il crac di Etruria sono state la pesante anomalia dei crediti erogati agli esponenti aziendali, gli errori di gestione complessiva del credito, e la “riottosità a porre in essere l'azione indicata da Banca d'Italia” e cioè la fusione con un altro istituto bancario.