Cosa significa essere un caregiver. L’intervista a Roberto Speziale di Anfass

speziale - caregiver

A destra Roberto Speziale. Foto di Nathan Anderson su Unsplash

Si sente parlare molto spesso di caregiver. Con questo termine viene indicato un familiare che si prende cura di una persona con disabilità, di un anziano o semplicemente di qualcuno che ha bisogno di cure costanti. La vita di un caregiver non è per nulla semplice, è fatta di rinunce anche professionali e l’intera esistenza diventa in funzione del familiare da accudire. Tra i due si crea un legame indissolubile che spesso non prevede altre figure intermediarie e nella testa del caregiver risuona incessante la stessa domanda “Che cosa accadrà quando io non ci sarò più?”

L’intervista

Di questo delicato argomento interris.it ne ha parlato con con Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo) e coordinatore della consulta welfare del Forum Nazionale del Terzo Settore. Lui conosce molto bene il problema in quanto ogni giorno lo vive sulla propria pelle, da genitore di un figlio con disabilità.

Presidente, come cambia la vita quando si diventa caregiver?

“Ognuno di noi ha dei progetti, che però la disabilità di un figlio, può annullare da un momento all’altro. Solitamente, questa figura coincide con quella della mamma che è costretta a lasciare il proprio lavoro per dedicarsi in modo esclusivo e continuativo al figlio. Si tratta di un cambiamento anche improvviso, di un nuovo lavoro da imparare giorno dopo giorno, e di una vita vissuta in funzione di un’altra persona che diventa il centro dei propri pensieri. Per questo motivo io sono solito dire che un caregiver si trova agli arresti domiciliari, senza però avere mai commesso alcun reato”.

Tutti da un momento all’altro possiamo diventare caregiver. C’è consapevolezza che questo problema riguarda tutti?

“Purtroppo no e di conseguenza viene trattato con molta indifferenza. Inoltre, si tende anche a dare per scontato che una persona, per il solo fatto di essere genitore o fratello di una persona con disabilità, debba annullare alla propria vita. Invece, non è così perché, come dice l’art.14 della legge 328/00, i servizi pubblici devono farsi carico dei bisogni del fragile e del familiare. A distanza però di vent’anni il peso dell’assistenza ricade ancora esclusivamente sul caregiver, che spesso si sente solo”.

Che tipo di tutele chiede il caregiver?

“Innanzitutto il riconoscimento di questa importante funzione. Poi una rete integrata di servizi all’interno della quale il caregiver si può collocare come un’ulteriore risorsa e non come unico referente. Considerato l’importante e impegnativo ruolo si deve anche procedere con un riconoscimento previdenziale per il caregiver. Si tratta infatti di una vera e propria attività lavorativa, per molti invisibile, che si sostituisce alla professione svolta fino a quello momento”.

C’è ascolto su queste richieste?

“Ad oggi qualcosa si sta muovendo ed è stato istituito un tavolo di lavoro costituito dal ministero per le disabilità, da quello delle politiche familiari e da quello del lavoro e delle politiche sociali per arrivare ad una legge che riconosca i caregiver come dei lavoratori a tutti gli effetti. La speranza è che questa legge non sia solo a parole, ma che sia capace di ascoltare e rispondere concretamente a tutte le esigenze dei disabili e delle loro famiglie”.

Quanto pesa nel cuore di un caregiver il pensiero di cosa accadrà quando lui non ci sarà più o non semplicemente non sarà più in grado di prendersi cura del proprio caro?

“Questa è la vera angoscia di chi come me vive questa situazione. La preoccupazione nasce dal fatto che, se queste persone non hanno altri fratelli o sorelle con cui avere una continuità assistenziale, rischiano un giorno di diventare ospiti indesiderati di grandi istituti dove perdono quella relazione umana che, per chi ha una disabilità, rappresenta un legame fondamentale”.

La persona con fragilità quanto soffre per il distacco dal caregiver?

“Moltissimo perché, secondo me, tra la mamma e il figlio con disabilità il cordone ombelicale non viene mai tagliato. Noi caregiver abbiamo l’obbligo di aiutare queste persone a costruire il dopo di noi mentre ancora ci siamo. Questo processo è molto lento, ma permette di trovare la soluzione migliore per i nostri cari e li aiuta in modo concreto a metabolizzare il cambiamento che un giorno inevitabilmente dovrà avvenire”.

Elena Padovan: