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Cosa nasconde la battaglia contro le fake news?

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Nella dialettica politica, ormai da qualche tempo, c’è un modo rapido ed efficace per delegittimare l’avversario: accusarlo di diffondere fake news. L’ennesimo termine inglese è entrato prepotentemente nel nostro vocabolario, assumendo presso l’opinione pubblica la forma di un allarme sociale. Tale è la sensibilità di alcune forze politiche sul tema che in diversi Paesi – tra cui l’Italia – prendono forma o sono già state approvate leggi di contrasto alle fake news. Tuttavia diversi blogger, giornalisti, saggisti denunciano che questa battaglia contro le notizie false e ingannevoli si muova su un crinale pericoloso: quello della violazione della libertà d’informazione. Ne è convinta anche la giornalista e scrittrice Enrica Perucchietti, che nel suo libro Fake News (Arianna Editrice, 2018) dipinge un intento dalle venature distopiche dietro la campagna contro le fake news. In Terris l'ha intervistata.

Qual è il vero intento?
“Si tratta di un’articolata caccia alla streghe che ha secondo me come obiettivo la repressione del dissenso e dell’informazione alternativa. Essa strumentalizza il dilagare di bufale sul web per portare all’approvazione di una censura della Rete arrivando a ipotizzare l’introduzione del reato d’opinione, una forma moderna di psicoreato orwelliano. Concordo con  Marcello Foa, che ha curato la prefazione del mio libro, quando scrive che la polemica sulle fake news ha come obiettivo non di garantire una informazione migliore, ma un’informazione certificata: solo le notizie con il bollino saranno considerate tali. Tutte le altre potranno essere addirittura espulse dal web e con il pretesto delle fake news si potranno oscurare pagine social di pensatori scomodi o di blogger non mainstream, introducendo di fatto la censura”.

Specie sui social network è un florilegio di notizie false, spesso diffamatorie, che si diffondono in modo virale. Non crede sia necessario intervenire a livello legislativo?
“Certamente, in particolare nei confronti dei profili falsi, dei contenuti diffamatori, degli haters, del cyberbullismo, ecc. Temo che l’utilizzo dei social ci sia sfuggito di mano e abbia tirato fuori il peggio di noi: siamo ormai incapaci di trattenere i nostri impulsi e la violenza. Ma la mancanza di educazione nell’utilizzo della Rete non deve servire come sponda per censurare l’informazione alternativa, così come le regole devono valere per tutti, per chi spaccia bufale grossolane ma anche per i media mainstream che fanno lo stesso o per quei siti che si sono autoinvestiti ‘smascheratori di bufale’ e che usano le armi del cyberbullismo per screditare, perseguitare e insultare i ricercatori e i giornalisti alternativi”.

Secondo lei ci sono stati episodi specifici – penso magari a qualche risultato elettorale – che hanno fatto maturare la necessità di intervenire per soffocare il dissenso?
“Da Brexit al 4 marzo scorso in Italia, il diffondersi di un sempre maggiore dissenso e del cosiddetto populismo non può che infastidire l’élite tecnocratica. Questa nuova ondata sociale e politica sta sovvertendo i piani di assoggettamento globale. Quella che è iniziata infatti non sembra essere solo una mera protesta, ma una vera e propria rivolta: contro la disuguaglianza crescente, contro l’impoverimento del lavoro, contro la finanziarizzazione dell’economia, contro le delocalizzazioni predatorie e, soprattutto, contro il dominio delle élite. Per questo ritengo che il potere stia correndo ai ripari e che la battaglia contro le fake news rientri nel tentativo di stringere le maglie della manipolazione e del controllo sociale. Nessun regime democratico può infatti sostenersi senza di esse per orientare l’opinione pubblica”.

Non crede che proprio queste espressioni di dissenso rispetto al pensiero dominante siano la testimonianza che ormai il popolo, per quanto vengano introdotti nuovi sistemi, non si lascia più soggiogare?
“Nel mio libro mostro come il potere, persino nelle democrazie, sia impegnato da sempre nel distrarre e al contempo manipolare le masse per ottenere consenso. L’opinione pubblica è talmente soggiogata che è come se ai governanti non sfuggisse più nessuna maglia di questo ingranaggio. Qualcosa, però, di questo meccanismo, sembra essersi inceppato. Se è vero, parafrasando Edward Bernays, il padre delle Pubbliche Relazioni, che la società moderna esige una leadership forte e che quindi chi governa deve sapere esercitare al meglio l’arte del comando per indirizzare e guidare l’elettorato, la manipolazione costante e capillare dell’opinione pubblica ha raggiunto al contempo il suo apice e forse il suo declino. La gente (almeno una parte) sta infatti iniziando ad acquisire la capacità e la volontà di andare oltre l’apparenza per capire meglio gli avvenimenti e la loro genesi”.

Esistono temi specifici di attualità che fanno attivare il sistema di manipolazione dell’informazione, magari attraverso la creazione di parole in quella che Orwell definiva la “neo-lingua”?
“Il ricorso a sempre nuovi neologismi creati ad arte permette di pensare non più con le parole, ma a far sì che siano le parole stesse a pensare per noi. Ciò avviene perché esse sono svuotate di significato, sclerotizzate: il linguaggio viene ridotto all’osso, le parole diventano gusci vuoti, ideali per veicolare i concetti che si possono cambiare in continuazione, ribaltare, negare, sconfessare. La neolingua politicamente corretta è una costruzione artefatta, burocratica, è un linguaggio per i fanatici dell’ideologia, che sta contagiando il mondo intero, imponendosi attraverso slogan e l’assuefazione mediatica. Rientrano nel politicamente corretto alcune espressioni da neolingua che sono entrate nell’uso comune come ‘maternità surrogata’, ‘fecondazione assistita’, ‘dolce morte’ (al posto di eutanasia), ‘missioni di pace’ o ‘guerra umanitaria’ e ‘bombe intelligenti’ (ma se sono del nemico saranno 'armi di distruzione di massa')”.

Ma da chi è rappresentato il potere che vorrebbe imbavagliare l’informazione alternativa?
“Ai metodi repressivi del passato oggi si preferisce (ancora) affiancare la manipolazione ‘dolce’ volta a far credere ai cittadini che costoro siano liberi di scegliere quando invece tutte le loro decisioni vengono decise e orientate dall’alto. Nessun regime può sostenersi senza la propaganda, così come, paradossalmente, le democrazie occidentali fanno ricorso proprio alla manipolazione capillare dell’opinione pubblica. Nella società democratica le opinioni, le abitudini e le scelte delle masse vengono cioè indirizzate, come spiegava nel 1928 Edward Bernays da un ‘potere invisibile che dirige veramente il Paese’. Secondo Bernays la propaganda è fondamentale per “dare forma al caos”. Le tecniche usate dal potere per plasmare l’opinione pubblica sono state inventate e sviluppate negli anni, spiegava Bernays, ‘via, via che la società diventava più complessa e l’esigenza di un governo invisibile si rivelava sempre più necessaria’”.

Prima sosteneva che anche i media di massa non sono esenti da fake-news…
“La maggior parte delle bufale che ci vengono offerte ogni giorno proviene proprio dai media mainstream che negli anni hanno divulgato, e continuano a farlo, innumerevoli fake news (si pensi per esempio alle famigerate armi di distruzione di massa irachene poi rivelatesi inesistenti) ricorrendo quindi a sofisticate forme di manipolazione che potremmo paragonare alla propaganda bellica. Nel mio libro documento innumerevoli casi di bufale diffuse dai media di massa, alcune di queste passate alla storia e ancora credute vere: dalle fake news sulla Corea del Nord (l’uccisione dello zio di Kim Jong-Un sbranato da 120 cani o del ministro della Difesa giustiziato per un pisolino di troppo) alla Siria, dalla Serbia alla Libia; le dichiarazioni del 1990 della figlia dell’ambasciatore kuwaitiano alle Nazioni Unite, Saud Nasir al-Sabah secondo cui i soldati iracheni prelevavano i neonati prematuri dalle incubatrici gettandoli a terra; l’immagine del cormorano ricoperto di petrolio nelle acque del Golfo Persico nel 1991; la vicenda della soldatessa Jessica Lynch catturata dalle truppe irachene e liberata attraverso un blitz sensazionale nell’ospedale di Nassirya nell’aprile 2003; la ricostruzione del massacro di Timisoara… e purtroppo molte altre”.

Federico Cenci: