Nel 2017 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito il numero record di 3.691 casi lasciando 7.584 casi pendenti. Lo riferisce il Rapporto annuale 2017 pubblicato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, incaricato di vigilare sull’attuazione delle sentenze della Corte di Strasburgo. C'è un calo del 24% dei casi pendenti (erano 11mila nel 2012), grazie a “riforme in corso, maggiore cooperazione con le autorità nazionali e una nuova politica di chiusura dei casi”. A semplificare il lavoro anche “progressi significativi” compiuti dai Paesi nel miglioramento del “lavoro della polizia e delle forze di sicurezza, l’efficienza della giustizia e le condizioni di detenzione”.
Lo scalino più alto del podio lo occupa l'Italia, con i suoi 2.001 casi chiusi, seguito dall’Ungheria con 296 casi e la Federazione russa con 254. Tra i casi pendenti invece è la Russia ad avere il primato con 1.698 casi, la Turchia ne ha 1.446, l’Ucraina 1.156, la Romania 553. Norvegia, Lussemburgo e Andorra sono gli unici Paesi a non avere fatto ricorso alla Corte nel 2017. I motivi per cui ci si appella alla Corte? Sono per contestare “atti delle forze di sicurezza” (17%), “condizioni di detenzione e cure mediche” (14%), la “legalità della detenzione” (11%), protezione contro i maltrattamenti (10%), la durata delle procedure giudiziarie (8%). Il Comitato dei ministri continuerà a lavorare per garantire che “i ricorrenti ottengano riparazione in modo tempestivo e si riduca il numero di casi ripetitivi”.