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Card. Sgreccia: “Attenti ai nuovi totalitarismi”

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Soltanto la speranza in Dio e la forza di volontà dei suoi genitori separano il piccolo Alfie Evans dal destino che i medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool e i giudici britannici hanno scritto per lui: la morte. Nelle ore concitate in cui è stato annunciato il distacco della ventilazione che tiene in vita il bambino, In Terris ha chiesto un parere al card. Elio Sgreccia, esperto in bioetica, presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita. In questa vicenda – commenta il porporato – “non è solo che scompare la considerazione della pietà dei genitori, i quali hanno chiesto che il bambino venisse loro lasciato. Ma c’è in mezzo molto altro”.

Cos’altro, eminenza?
“È un attacco all’istituto familiare. Ma tutto nasce dallo statalismo. Esso fa rabbrividire quando suscita il ricordo di ciò che hanno fatto nella storia i regimi totalitari. Ma quello stesso statalismo è presente ancora oggi, con una differenza rispetto al passato: viene coltivato e presentato in una veste umanizzata. Di questo statalismo che decide con il suo imperio, per meri motivi economici, di chiudere l’accesso all’alimentazione e di negare le cure palliative a un bambino malato sembra che non ce ne vergognamo”.

Dunque siamo di fronte a una ricerca del profitto tale da prevalere sull’umanità?
“Abbiamo adottato una visione basata su un principio economicistico della vita, che va a discapito degli anziani bisognosi di assistenza, dei bambini malati, nonché dei bambini che hanno il diritto di crescere tra l’affetto di una famiglia. La dignità della persona è salda in ogni fase della vita, sia quando si è sani sia quando ci si trova in punto di morte. E invece il profitto, appunto, prevale. Viene lasciata morire una persona perché l’assistenza è un costo: si lascia morire per risparmiare. La cultura dominante lascia praticare quando addirittura non incoraggia questo sistema. È una dittatura dell’economico sulla vita umana: si tratta di una perversione e va considerata tale”.

Secondo lei attraverso quale processo culturale si è giunti a questa fase?
“È la stessa domanda che dobbiamo porci di fronte al fatto che il femminismo è diventato femminicidio. È avvenuto nel momento in cui la donna non è più stata considerata una persona ma una cosa. E una cosa, si sa, quando non la si vuole più, la si butta via. Così come è stato snaturato il concetto di amore, che ha smesso di essere considerato come un’integrazione tra due persone, ma come una forma di sfruttamento, il quale, quando non rende più da un punto di vista economico, si cancella in modo brusco”.

Si può arrestare questo processo?
“Si può arrestare riaffermando i valori. In che modo? Con l’educazione, che oggi è scomparsa. A scuola, ad esempio, il termine educazione è stato sostituito con quello di istruzione. Non è la stessa cosa. Durante il fascismo l’educazione nelle scuole fu assoggettata al regime, oggi si sta verificando lo stesso processo, ma viene rivestito di liceità. Bisogna educare i giovani, attraverso l’esempio, a dire dei ‘no’ a tale statalismo, al pensiero relativista che appare dominante”.

C’è speranza?
“La speranza c’è sempre finché c’è la volontà. Noto che nella società ci sono stati dei cambiamenti negli ultimi tempi, si registra un moto di insofferenza verso certe decisioni prese dall’alto, a discapito dei più deboli. Gli attori veri della storia sono le persone, che vivono i problemi sulla propria pelle, non dobbiamo dimenticarcene. Il cristianesimo offre tutte le risorse per arrestare questo subdolo scivolamento verso una dittatura, non resta che riscoprirli”.

Federico Cenci: