Cambiamento climatico: chi sono i primi a farne le spese

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A destra Andrea Barbabella. Foto di Matt Palmer su Unsplash

Siamo entrati oramai in una fase di anormalità climatica permanente. Dopo un 2022, funestato da eventi meteo estremi e dalla peggiore siccità che ha colpito l’Europa negli ultimi cinquecento anni, il 2023 non è stato certo migliore. L’Organizzazione mondiale della meteorologia lo candida ad essere l’anno più caldo mai registrato nella storia. A farne le spese di questo riscaldamento globale sono per primi i Paesi più poveri che però a questa crisi climatica hanno contribuito meno. A tal proposito un report pubblicato dall’Unep, il Programma ambientale dell’Onu, riferisce che servirebbero tra i 215 e i 387 miliardi all’anno per consentire ai Paesi in via di sviluppo di difendersi dal riscaldamento globale.

L’intervista

Durante la Cop28 si è discusso su come mitigare le conseguenze che il cambiamento climatico ha sui Paesi più poveri. Interris.it ne ha parlato con Andrea Barbabella, socio fondatore e membro del consiglio della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e coordinatore di Italy for Climate.

Signor Barbabella, perché i Paesi in via di sviluppo subiscono maggiormente i danni causati del riscaldamento globale?

“Innanzitutto la prima motivazione va ricercata nel fatto che si tratta di Paesi che non hanno gli strumenti economici e tecnologici per fronteggiare e diventare resilienti agli impatti della crisi climatica che peraltro loro hanno causato solo in minima parte. Si pensi infatti, che questi Paesi contribuiscono con un 4% alle emissioni di gas serra, ma le conseguenze su di loro sono fortissime”.

Quali sono gli effetti del riscaldamento globale?

“É un processo di aumento da parte dell’atmosfera della capacità di trattenere calore all’interno della terra. Negli ultimi decenni però si è manifestato un aumento della temperatura globale pari a +1,2° rispetto al periodo preindustriale. Questo rialzo è causato dall’attività antropica, innanzitutto dall’emissione di CO2 e poi anche da altri fattori come la deforestazione e il cambiamento d’uso del suolo”.

La Cop28 ha centrato l’obiettivo dell’istituzione del loss & damage fund. Che cosa prevede?

“Si tratta di un fondo dedicato alla riparazione che serve a risarcire i danni e le perdite che, provocate dai Paesi più ricchi e più inquinanti, vengono subite da quelli più poveri. Dopo 30 anni di richieste e battaglie da parte del Sud del mondo, si tratta di una vera e propria conquista. Il fondo assisterà i Paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili, già colpiti da eventi meteorologici estremi, come le tempeste e le inondazioni, dalla riduzione della produttività agricola e dall’innalzamento del livello del mare”. 

Questo è un problema che ha radici profonde. Perché non si è intervenuti prima?

“Si tratta di un principio di responsabilità comune ma differenziata su cui da sempre si basano gli accordi internazionali sulla sostenibilità del clima. Per molti anni però, i Paesi industrializzati si sono rifiutati di farsi carico delle conseguenze che il riscaldamento globale ha provocato ai Paesi con meno possibilità. Se oggi l’atteggiamento sta cambiato è anche dovuto al fatto che gli effetti del cambiamento climatico iniziano a pesare su tutti e di conseguenza si è iniziato a comprendere l’urgenza di questo problema”.

Cosa potrebbe accadere se non si interviene?

“É stato stimato che nei prossimi anni la metà dei decessi riferibile al cambiamento climatico sarebbe concentrata in Africa. Per questo motivo già nel 2015 la comunità internazionale si era riproposta di fare il possibile per limitare il riscaldamento affinché non vada oltre a +1,5°”.

Come si può ridurre?

“La prima azione è quella di arrestare al minimo l’uso di combustibili fossili, prediligendo le fonti rinnovabili che negli ultimi anni possiamo avere a costi bassissimi. Inoltre, bisogna intervenire fermando la deforestazione in quanto i boschi hanno una capacità assorbente di anidride carbonica”.

Elena Padovan: