Decine di migliaia di rifugiati di etnia Rohingya saranno trasferiti su un isolotto nella Baia del Bengala, a largo delle coste del Bangladesh, prima di essere deportati in Myanmar. Lo riporta l’agenzia Fides citando, come fonte, la stampa locale in cui si legge che i trasferimenti sono stati ordinati per mezzo di una direttiva adottata dal governo di Dacca.
L’isolotto, nominato Thengar Char, è emerso una decina di anni fa a partire dal deposito dei sedimenti del fiume Meghna. Fonti della stampa locale sottolineano che il territorio è stato spazzato dalle numerose alluvioni che flagellano il Paese asiatico e – sottolineano – è del tutto privo di protezioni naturali e di strade.
Il problema dei rifugiati Rohingya, minoranza musulmana tra le più perseguitate al mondo, è molto vissuto in Bangladesh. Solo dallo scorso ottobre, riporta l’Organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie, almeno 65 mila di loro hanno attraversato il confine bengalese in fuga dalle violenze che subiscono quotidianamente in Myanmar, l’ex Birmania, in particolare nello Stato settentrionale di Rakhine. Qui le tensioni sono iniziate nel 2012, in seguito ai volenti scontri scoppiati tra loro e la maggioranza buddista, che li considera “bengalesi illegali”, alludendo al loro arrivo dal vicino Bangladesh in epoche recenti.
Sul dramma dei Rohingya in Myanmar – oltre un milione e 200mila persone considerate dal Governo “immigrati illegali” e perciò prive di ogni diritto – si sono espressi in passato anche i vescovi birmani. Il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, aveva apertamente stigmatizzato “la diffusione di odio e la negazione del diritto” presenti nel Paese, riferendosi sia alla violenza perpetrata dalle frange buddiste sia all’ostilità mostrata verso i rihingya dal Naypyidaw. In questa e altre situazioni di disagio e confitto sociale, i cattolici, aveva rimarcato Bo “hanno il compito di portare la misericordia e di annunciare la misericordia”.