Dal 2014 ad oggi sono stati utilizzati ben 117 bambini per portare a termine attacchi suicidi con bombe in luoghi pubblici della Nigeria, del Camerun, del Ciad e del Niger. E’ quanto si apprende nel rapporto dell’Unicef “Silent Shame: Bringing out the voices of children caught in the Lake Chad crisis”, pubblicato oggi. Secondo l’organo dell’Onu, il numero di minori kamikaze è aumentato a 27 nei primi tre mesi del 2017, rispetto ai 9 casi nello stesso periodo dell’anno scorso. Nella maggior parte di questi attacchi sono state utilizzate ragazze. Per questo motivo i bambini vengono visti con timore presso i mercati, o checkpoint, poiché si sospetta trasportino esplosivo.
Il peggior uso di bambini in un conflitto
“Nei primi tre mesi di quest’anno, il numero di bambini utilizzati in attacchi con bombe equivale quasi al numero complessivo dello scorso anno; questo è l’utilizzo peggiore possibile di bambini in un conflitto – afferma Marie-Pierre Poirier, direttore regionale Unicef per l’Africa Centrale e Occidentale -. Questi bambini sono vittime, non colpevoli. Costringerli o raggirarli per utilizzarli in questo modo è riprovevole”. Il rapporto fornisce anche le testimonianze di alcuni minori cresciuti “in cattività” per volere di Boko Haram, gruppo terroristico islamico, e su come questi bambini siano guardati con sospetto quando tornano nelle proprie comunità.
Racconti di paura
Nelle interviste, molti ragazzi che sono stati associati a Boko Haram raccontano di non parlare con nessuno della loro esperienza perché hanno paura, non solo di essere stigmatizzati, ma anche di possibili rappresaglie violente da parte delle loro comunità. Molti di loro sono costretti a sopportare gli orrori subiti in silenzio, e sempre per paura, si allontanano da altri gruppi per paura di essere banditi. Il documento sottolinea anche le sfide che le autorità locali devono affrontare con i piccoli che spesso vengono fermati ai checkpoint e presi in custodia amministrativa per fare loro domande e controlli, facendo crescere la preoccupazione sui prolungati periodi di custodia. Nel 2016, circa 1.500 ragazzi erano in custodia amministrativa in Nigeria, Ciad, Niger e Camerun. Il rilascio di oltre 200 dalle autorità nigeriane, il 10 aprile, rappresenta un passo positivo per la protezione dei bambini colpiti dalla crisi in corso.
L’appello dell’Unicef
L’Unicef chiede alle parti in conflitto di impegnarsi nelle seguenti azioni per proteggere i bambini nella regione: porre fine alle gravi violazioni di Boko Haram contro i minori, compreso il reclutamento e l’utilizzo di questi in conflitti armati con attacchi suicidi; trasferire i ragazzi da contesti militari a civili prima possibile. Quelli presi in custodia esclusivamente per il loro presunto o effettivo collegamento a gruppi armati dovrebbero essere immediatamente consegnati alle autorità civili per il loro reintegro e supporto. Questa procedura dovrebbe essere attuata in ognuno dei 4 paesi per tutti i bambini che vengono ritrovati durante operazioni militari. Inoltre, garantire cure e protezione ai bambini separati e non accompagnati. Molti di loro necessitano di supporto psicosociale e spazi sicuri per riprendersi.
La missione dell’Unicef in Africa
Lo scorso anno, l’Unicef ha raggiunto oltre 312.000 bambini, fornendo sostengo sociale e psicologico in Nigeria, Ciad, Camerun e Niger, e oltre 800 sono stati riuniti alle loro famiglie. L’organo delle Nazioni Unite che tutela i minori sta lavorando con le comunità locali per costruire ambienti sicuri per tutti coloro che hanno subito violenze sessuali. In una crisi in cui oltre 1,3 milioni di bambini sono stati sfollati, supporta anche le autorità locali per garantire acqua sicura e servizi sanitari salva vita; ridare accesso all’istruzione creando spazi temporanei per l’apprendimento e distribuire alimenti terapeutici per curare i bambini malnutriti. L’anno scorso, l’appello dell’Unicef per il bacino del lago Ciad, di 154 milioni di dollari, è stato finanziato solo per il 40%.