Si chiama Nabil Rajab, è il più noto difensore dei diritti umani del Barhrein. Il suo impegno gli sta costando carissimo: è stato in carcere complessivamente quasi tre anni ed ancora oggi entra ed esce dalle aule dei tribunali per un paio di processi a suo carico.
Il primo arresto
Il suo arresto, nel 2012 – come ricorda Riccardo Noury di Amnesty International – fu dovuto al fatto che aveva preso parte a manifestazioni non autorizzate e per “disturbo della quiete pubblica”. Poi era tornato in carcere tra aprile e luglio del 2015 per aver pubblicato dei tweet “offensivi nei confronti dei ministri dell’Interno e della Difesa”.
Problemi di salute
Rilasciato per motivi di salute, ha conosciuto di nuovo il buio della cella il 13 giugno 2016. In questa ultima esperienza carceraria ha passato nove mesi in totale isolamento, prima che gli venisse accordato nell’aprile scorso il trasferimento presso una struttura ospedaliera gestita dal ministero dell’Interno, dove è stato sottoposto a due interventi chirurgici.
Gli altri processi
I problemi di salute non hanno però interrotto i processi a suo carico. Il 10 luglio scorso Rajab è stato condannato a due anni di detenzione per “pubblicazione e diffusione di voci e notizie false relative alla situazione interna del Paese”, per due interviste televisive rilasciate nel 2015 e nel 2016. Non si conosce ancora la data dell’appello.
Non è stata riferita nemmeno la data del prossimo appuntamento davanti al giudice per altri due processi: uno per un editoriale pubblicato sul New York Times il 4 settembre 2016 e un articolo pubblicato su Le Monde il 19 dicembre 2016. L’accusa è di aver parlato male del regno del Bahrein e di aver criticato l’intervento militare in Yemen da parte dell’Arabia Saudita e di altri paesi del Golfo, Bahrein compreso.
Prossimo appuntamento l’11 settembre
Nei giorni scorsi, intanto, è stato deciso il quindicesimo rinvio per il processo in corso all’11 settembre. L’accusa anche stavolta è quella di aver criticato su Twitter l’intervento militare in Yemen e di aver denunciato, sempre sul social network, le torture compiute nel 2015 nella prigione di Jaw a seguito di una rivolta. Rischia altri quindici anni di carcere.
Rivoluzione in Bahrein
Dal marzo 2011 il Paese del Golfo è investito da un’ondata di proteste e manifestazioni represse nel sangue dalla monarchia. L’opposizione chiede riforme di carattere economico, sociale e soprattutto politico-costituzionale e relative ai diritti umani.