“La Lombardia è pronta ad accogliere e dare ospitalità ad Asia Bibi”. Lo afferma il Presidente del Consiglio regionale della Lombardia Alessandro Fermi, come riferisce Giornale di Como. E' stato proprio Fermi a riunire i capigruppo consiliari per condividere un documento in cui il Consiglio regionale lombardo ribadisce con forza il proprio no alla pena di morte. E si esprime quindi piena solidarietà ad Asia Bibi, la giovane donna cattolica condannata a morte in Pakistan con l’accusa di aver offeso l’Islam.
“Pronti a fare tutto ciò che sarà necessario”
“Qualora la decisione finale dei giudici pakistani dovesse accogliere le richieste dei fondamentalisti islamici, e condannare a morte Asia Bibi, sul Pakistan resterà una macchia indelebile difficile da cancellare e che non potrà non avere inevitabili ripercussioni a livello internazionale –sottolinea il presidente Fermi -. Se Asia invece verrà liberata, dovrà comunque lasciare il Pakistan insieme ai suoi familiari per evitare le inevitabili ritorsioni dei fondamentalisti islamici: in tal caso – conclude Fermi – la nostra istituzione regionale è pronta a fare tutto ciò che sarà necessario per accoglierla e garantirle ospitalità sul territorio lombardo”. Il documento promosso dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e condiviso dai Presidenti dei Gruppi consiliari – si legge ancora su Giornale di Como – stigmatizza infine il silenzio dei Paesi occidentali su questa vicenda, lamentando la necessità che i Governi nazionali e l’Unione Europea prendano una posizione chiara e forte a sostegno di Asia Bibi, condannando al tempo stesso le azioni violente di repressione del dissenso politico e religioso ancora in vigore in molti Paesi stranieri.
La vicenda
L'incubo di Asia Bibi è cominciato nel 2009 a causa di un litigio sul lavoro con alcune colleghe di fede mussulmana. A lei, cristiana, hanno rimproverato di aver bevuto dal loro stesso bicchiere. Durante la discussione, secondo le altre braccianti, la donna cristiana avrebbe offeso Maometto. Un'accusa che Asia Bibi ha respinto sin dal primo momento. Le parole delle colleghe, però, sono state sufficienti per condurre al suo arresto il 19 giugno del 2009. In Pakistan la blasfemia è uno dei reati per i quali si rischia la pena capitale. E infatti, l'8 novembre del 2010, la donna è stata condannata a morte per impiccagione. Dopo un lungo processo, si attende ora la sentenza della Corte suprema, che si è riunita l'8 ottobre per decidere il suo destino.