Al mondo, ogni tre secondi una persona sviluppa una forma di demenza e si stima che, a livello globale, siano oltre 55 milioni le persone che convivono con questa condizione. Le previsioni però non sembrano migliorare, in quanto si suppone che tra cinque anni diventino 78 milioni, fino ad arrivare entro il 2050 a 139 milioni.
Il caso Italia
Nel nostro Paese le persone con demenza sono 1 milione 480 mila e sono destinate a diventare in poco più di vent’anni 2 milioni trecento mila, ovvero il 55% in più rispetto a quelle attuali. In occasione del Mese Mondiale Alzheimer, la Federazione Alzheimer Italia si fa portavoce nel nostro Paese dell’appello che ADI – Alzheimer Disease International lancia a governi, alle comunità e ai singoli individui. Lo fa chiedendo di agire per aumentare la consapevolezza su questa condizione e di combattere lo stigma che rimane ancora un ostacolo alla diagnosi, al trattamento, alla cura e al supporto.
L’intervista
In occasione della Giornata Mondiale Alzheimer, Interris.it ha trattato questa delicata tematica con il dottor Mario Possenti, segretario generale di Federazione Alzheimer Italia.
Dottor Possenti, la demenza oramai fa parte della quotidianità di molte famiglie. Come si affronta questa realtà?
“Il tema è sentito sopratutto da chi, ogni giorno, vive in prima persona le conseguenze di questa condizione. Si tratta di una patologia che colpisce anche i più giovani e che incide nella vita non solo di chi ne è affetto, ma anche della famiglia stessa. In Italia ci sono circa 1 milione e 400 mila nuclei familiari che affrontano questo difficile percorso, ma nonostante ciò, se ne sente parlare ancora troppo poco, e servirebbe una maggiore attenzione da parte delle istituzioni stesse.”.
A cosa attribuisce questo atteggiamento poco attento?
“Noi ci siamo fatti l’idea che chi ci governa abbia a volte paura di confrontarsi ed approcciarsi ad un tema così vasto che presuppone un cambiamento della forma mentis. Noi infatti, sappiamo che la demenza avrebbe bisogno di una società diversa, più malleabile ed accogliente verso chi vive questa condizione, ma purtroppo, nonostante i numeri, non siamo ancora arrivati a questo cambio di mentalità”.
Come si costruisce una società a misura di demenza?
“Il primo passo è quello di conoscere che cosa significa avere questa patologia, perché solo in questo modo è possibile comprendere i bisogni concreti delle persone che vivono questa condizione e dei loro caregiver. Le stesse città non possono essere pensate ignorando questa frangia della popolazione e dovrebbero essere costruite, basandosi sull’inclusione. Ecco che per esempio sarebbe utile che i vigili urbani avessero una formazione adeguata per imparare ad avere il giusto atteggiamento anche con chi non possiede più la lucidità di prima. Inoltre, anche la scuola ha un ruolo importante, in quanto i nostri giovani sono terreno fertile per apprendere che la demenza esiste, e non deve spaventare, la si deve accettare e includere. Occorrono poi servizi dedicati alle persone con demenza, di qualità e diffusi su tutto il territorio, campagne di sensibilizzazione e creazione di piani regionali e locali per venire incontro ai loro bisogni”.
Arriviamo al tema dei caregiver. Il loro supporto è fondamentale. Ad oggi esiste ancora una sorta di pudore da parte di chi ha in casa una persona con demenza?
“Purtroppo sì, e nasce anche da sentimenti quali il timore di essere giudicati perché anche semplicemente uscendo di casa il proprio caro potrebbe comportarsi in un modo sopra le righe, non ritenuto normale. Torniamo dunque al punto che se i cittadini avessero la giusta conoscenza della demenza e delle sue conseguenze, anche questo stigma potrebbe essere ridotto al minimo. Ricordiamoci infatti che il lavoro dei caregiver è fondamentale in quanto è stato riscontrato che per una persona da demenza vivere tra le proprie mura di casa, circondato dai propri cari, rallenta il progredire delle problematiche derivanti dalla suddetta patologia”.