Nei Paesi dell’Africa SubSahariana la salute materna, neonatale, infantile e adolescenziale rimane un bisogno sanitario urgente da affrontare. Ogni anno, in questa area, 265 mila donne muoiono a causa del parto e 1,2 milioni di bambini perdono la vita nel loro primo mese, mentre la piaga della denutrizione colpisce 1 bambino su 3 al di sotto dei 5 anni.
L’intervista
Interris.it ne ha parlato con don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, che attraverso il programma “Prima le mamme e i bambini. 1.000 di questi giorni”, è impegnato a realizzare, su base distrettuale e regionale, un intervento di salute riproduttiva, in particolare garantendo l’accesso all’assistenza qualificata al parto e alle emergenze ostetriche per ridurre la mortalità e la morbosità materna, fetale e neonatale.
Don Dante, che cosa rende l’Africa Subsahariana la regione più pericolosa al mondo in cui nascere?
“La povertà, le condizioni climatiche, le tensioni e i conflitti interni, la scarsità di mezzi e di infrastrutture rallentano e, a volte, anche ostacolano, lo sviluppo di un sistema sanitario, incapace di rispondere ai bisogni della popolazione. In Sud Sudan, per esempio, si registra 1 ostetrica ogni 10.000 gestanti. Inoltre, c’è il problema della presenza, o meno, di personale sanitario competente in caso di emergenze, capace di intervenire con prestazioni salvavita, quali il cesareo e le trasfusioni di sangue”.
Ci sono dati che indicano il tasso mortalità durante il parto?
“L’Africa è un grande continente e ogni Paese ha caratteristiche e problematiche diverse. In Tanzania per esempio, il tasso di mortalità neonatale è di 20 bambini ogni 1000 nati vivi, mentre quello legato alla mortalità materna è di 524 ogni 100.000 nati vivi. In Sud Sudan, invece, il tasso di mortalità neonatale è di 40 bambini ogni 1000 nati vivi, mentre quello legato alla mortalità materna è di 1.150 ogni 100.000 nati vivi. Non dimentichiamo poi la Sierra Leone che detiene il tasso di mortalità materna più alto al mondo, ovvero 1.360 su 100.000”.
Il clima ha effetti negativi sull’infanzia dei bambini?
“Senza dubbio influisce sul benessere delle popolazioni. Eventi climatici estremi, come il ciclone Idai, che alcuni anni fa si è abbattuto sulla città di Beira in Mozambico, distruggendo il 90% delle case, o la scarsità d’acqua dovuta alla siccità che ha afflitto il sud dell’Angola, hanno conseguenze sulla salute stessa. Queste situazioni portano ad una mancanza di cibo, anuna bassa diversificazione della dieta e a una scarsa igiene, che a sua volta provoca molte malattie”.
I conflitti, come quello in Ucraina, hanno qualche ripercussione?
“Sì e l’impatto è devastante in termini di aumento di costi del cibo e dei beni primari. L’Etiopia per esempio, si è trovata di fronte a un aumento spropositato del costo della farina e del grano, perché il 75% del grano di cui ha bisogno proviene proprio dall’Ucraina. In Angola il prezzo del riso è quadruplicato e i bambini non mangiano a sufficienza, mentre in Sierra Leone il costo del carburante è triplicato e questo dato ha delle forti ripercussioni anche sull’accesso alle cure perché non è possibile avere a disposizione abbastanza carburante per garantire un servizio di trasporto in ambulanza, tanto che ad oggi nel Paese le ambulanze sono disponibili solo 5 giorni al mese. Di conseguenza, l’impossibilità di poter raggiungere un ospedale, per molte donne e per i loro bambini può essere letale”.
In che cosa consiste il programma “Prima le mamme e i bambini. 1.000 di questi giorni?
“Vogliamo garantire alle future mamme un parto gratuito, assistito e sicuro. Il primo programma, di 5 anni, riguardava 4 ospedali, mentre nel 2022 è iniziata un’altra fase che coinvolge 14 ospedali di 8 Paesi, e consolida la cura delle mamme e dei bambini nei primi 1000 giorni di vita e promuove lo sviluppo delle risorse umane e delle competenze. Nei primi due anni di intervento ci sono stati 188.923 parti assistiti, 8.102 i bambini malnutriti trattati e 659 manager sanitari africani formati. È importante ricordare che la gestante deve affrontare vari ostacoli, tra cui in primis quello geografico e per questo in Uganda, stiamo portando avanti un intervento importante che fornisce alle donne, durante le visite, un voucher per un trasporto gratuito da utilizzare quando arriva il momento di partorire. Il secondo è quello economico che spinge la donna a partorire in casa, senza un’assistenza adeguata. Il terzo infine, è culturale, per cui la donna non è libera di scegliere dove dare alla luce il proprio bambino e sono terze persone a scegliere per lei”.