L’acromegalia è una malattia rara, che in Europa colpisce 1,2 persone su 10.000, mentre in Italia se ne diagnosticano circa 250 nuovi casi all’anno. Questa patologia, a molti ancora sconosciuta, è causata da un’eccessiva produzione, da parte di un tumore ipofisario di origine neuroendocrina, dell’ormone della crescita (GH) e alla conseguente elevata sintesi e secrezione epatica dell’IGF-1. Per curarla e assicurare ai pazienti una buona qualità di vita è indispensabile intervenire tempestivamente e nelle modalità più idonee. A tal proposito un gruppo di medici e chirurghi di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS hanno aperto una nuova frontiera della medicina moderna, che rivoluzionerà l’approccio al trattamento. Si tratta di un algoritmo tutto ‘made in Italy’ che ha il delicato compito di guidare gli endocrinologi ad una migliore e precisa terapia per l’acromegalia.
L’intervista
Interris.it ha intervistato la dottoressa, Sabrina Chiloiro, ricercatrice in Endocrinologia all’Università Cattolica, campus di Roma e dirigente medico della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS, che ha condotto lo studio.
Dottoressa, quali sono i campanelli di allarme di una possibile acromegalia?
“Purtroppo, nonostante questa malattia abbia dei segnali evidenti, tutt’oggi ci può essere un ritardo diagnostico. I pazienti affetti da acromegalia presentano alterazioni caratteristiche che molto spesso vengono sottovalutate. Si tratta per esempio del naso che si allarga, la comparsa di spazi tra i denti incisivi anteriori, il mento che inizia a sporgere e aumentano le dimensioni delle mani e dei piedi. Sono molti infatti i pazienti che raccontano di essere stati costretti a fare allargare gli anelli e a comprare scarpe di 2, fino a 4 numeri più grandi del solito. Queste modifiche sono molto lente e graduali e pertanto causano un significativo ritardo diagnostico. Dall’insorgenza dei sintomi alla diagnosi di acromegalia trascorrono in media 5-10 anni e questo ritardo diagnostico comporta una maggiore severità di questa malattia e la comparsa delle sue tipiche complicanze ”.
Se non curata, questa patologia che cosa può comportare?
“Questi pazienti possono manifestare delle complicanze come un’alterazione del metabolismo dei carboidrati, possono incorrere in malattie cardiovascolari e sviluppare scompenso cardiaco, aritmie e infarti, o addirittura eventi ischemici. Inoltre, ci sono anche complicanze scheletriche e ossee, come l’artrosi e le deformazioni scheletriche. É poi importante sapere che l’osso del paziente acromegalico è molto fragile e questo comporta un aumento del rischio di fratture post-traumatiche e spontanee del tratto dorsale e lombare della colonna vertebrale che nella maggior parte dei casi non vengono riferite dai pazienti, ma vengono diagnosticate con degli esami specifici. Inoltre, negli ultimi anni si rilevato anche un aumentato rischio di malattie oncologiche”.
In che cosa consiste questo algoritmo?
“Ad oggi il primo approccio è di tipo chirurgico con l’esportazione del tumore ipofisario, eventualmente seguito dalla terapia medica di prima linea con gli analoghi convenzionali della somatostatina (IGF-1). Qualora però il paziente non rispondesse a questa, condizione che si realizza in circa il 40-45% dei pazienti, si ricorre alle seconde linee terapeutiche, con gli analoghi della somatostatina di seconda generazione o l’antagonista recettoriale del GH. Tramite il nomogramma, derivante dal modello matematico, l’algoritmo identifica per ciascun paziente la probabilità di ottenere una buona risposta alla terapia con analoghi convenzionali della somatostatina, integrando i tre fattori di resistenza identificati, ovvero l’elevato rapporto delle cellule immunitarie CD68+/CD8+, l’assente o scarsa espressione del sottotipo 2A del recettore della somatostatina e la presenza di un residuo tumorale post-operatorio macroscopicamente evidente. Attraverso dunque l’algoritmo, i pazienti a rischio di mancata risposta alla terapia di prima linea potranno essere indirizzati precocemente ad una terapia di seconda linea, riducendo la durata di malattia non controllata, caratterizzata da elevati livelli plasmatici dell’ormone della crescita GH e dell’IGF-1”.
Che benefici comporta per paziente passare subito a seconde linee terapeutiche?
“Si tratta di una conquista importantissima e fondamentale per il decorso della malattia e la qualità di vita della persona che ne è affetta. Intervenire precocemente infatti, significa ridurre in modo drastico il tempo in cui la malattia è attiva e il periodo in cui il pazienti sono dunque esposti a questi due ormoni. Questo a sua volta riduce anche la frequenza e la severità delle complicanze tipiche di questa malattia rara. Ad oggi, con un intervento precoce, di acromegalia si può guarire e anche quando non sia possibile, l’aspettativa di vita del paziente controllato aumenta e migliora drasticamente ”.