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“Sindrome di Noè”: da amore per gli animali a disagio psico-sociale

Negli appartamenti-lager è importante salvare gli animali e impedire tali detenzioni; al tempo stesso è doveroso recuperare le persone con disturbi mentali, fragili e sole, coinvolte nel degrado

La “Sindrome di Noè” (“Animal hoarding” per gli anglosassoni), fenomeno generalizzato e in aumento in questi ultimi anni, consiste nell’accumulo di animali nella propria abitazione, con gravi ripercussioni igieniche e sanitarie. Le conseguenze, infatti, ricadono sugli animali stessi e sull’individuo che li costringe a vivere in gran quantità in spazi ristretti. Il numero è relativo: spesso si tratta di centinaia di esemplari ma anche una decina di “ospiti”, se abbandonati a se stessi, oltretutto in un ambiente ridotto, possono causare pericolosi ammassi. La cronaca riserva, sovente, casi di accumulatori seriali: non si tratta, dunque, di episodi rari. L’animal hoarder presenta una versione del disturbo da accumulo, rientrante nella sezione del “disturbo ossessivo compulsivo”. I sintomi sono riportati nell’ultima edizione del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM-V). È il caso, comunque, di considerare delle comorbilità con altre disfunzioni, tra cui ansia, di personalità e depressione.

La patologia dell’accumulo è di ampio spettro: in quest’ottica, anche gli animali sono considerati degli oggetti da conservare. Un altro triste aspetto del disturbo, infatti, è quello dell’“animale oggetto”, al contrario della giusta considerazione che merita. La conservazione riguarda tutto: oggetti, cani e gatti, cibo e immondizia. Nel caso specifico del disordine presente nell’appartamento, si affievolisce anche un elemento tipico della sindrome di accumulo, quello dell’utilità, del “potrebbe sempre servire”. All’origine di tali atteggiamenti, si riscontra, per i responsabili, la mancanza di un corretto “attaccamento” nella prima infanzia e/o di carenze affettive nei rapporti familiari e sentimentali.

Occorre comprendere e prevenire il disagio mentale, spesso frutto della solitudine e della chiusura mentale, che colpisce i malati di questa sindrome, convinti, invece, di essere in missione per salvare le vite degli animali. Il paradosso è che l’idea di offrire ospitalità e libertà si scontra con la realtà di una vera e propria detenzione. L’esperienza, inoltre, dimostra come coloro che soffrono di tale patologia siano recidivi e, quindi, soggetti a ripetere il reato. L’accumulatore, in genere, inizia in buonafede, con l’intento di proteggere ma, progressivamente, scivola verso l’incuria. Spesso condivide il disagio dei suoi animali, a livello di sporcizia e di scarsissima igiene: nella sua veste, presunta, di salvatore di vite, tende a vivere come loro.

Non si tratta, ovviamente, di amore verso gli animali, viste le condizioni drammatiche in cui vivono e in cui rischiano gravi malattie. L’accumulatore è convinto di essere indispensabile nei loro confronti e non comprende la gravità del fenomeno, anzi, spesso si ritiene in dovere di fare di più. Si assiste a una forma particolare di abbandono che non avviene per strada bensì tra le mura di casa. Non sempre è facile scoprire tali situazioni di degrado, molte volte l’unico indicatore è il cattivo odore che proviene dagli appartamenti.

San Giovanni Paolo II, in occasione del Discorso al popolo di Assisi del 12 marzo 1982, ricordò “L’educazione al rispetto per gli animali e, in genere, per l’armonia del creato ha, del resto, un benefico effetto sull’essere umano come tale, contribuendo a sviluppare in lui sentimenti di equilibrio, di moderazione, di nobiltà e abituandolo a risalire ‘dalla grandezza e bellezza delle creature’ alla trascendente bellezza e grandezza del loro Autore”.

Chiara Giordano e Francesca Garrone, veterinarie, sono le autrici del volume “Prendiamo un cucciolo?” (sottotitolo “Tutto ciò che è utile sapere prima di accogliere un animale in casa”), pubblicato da “Cairo” nel marzo dell’anno scorso. Nell’estratto della guida, si legge “Non mancano informazioni legali, mediche, quelle relative agli obblighi vaccinali, i costi, le regole e le norme da seguire spesso sottovalutate. Un manuale al servizio di una scelta consapevole, pensato per aiutare le persone che vorrebbero avvicinarsi al mondo animale, e invece spesso non sanno da che parte incominciare”.

Una prima ricerca, del 1999, effettuata dal veterinario Gary J. Patronek, pubblicata dal sito https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/9925176/, riportava i dettagli del fenomeno “La maggior parte (76%) degli accaparratori erano donne e il 46% aveva 60 anni o più. Circa la metà degli accaparratori viveva in famiglie composte da una sola persona. Gli animali più frequentemente coinvolti erano gatti, cani, animali da fattoria e uccelli. Il numero medio di animali per caso era di 39, ma si sono verificati quattro casi con più di 100 animali in una famiglia. Secondo quanto riferito, nell’80% dei casi gli animali sono stati trovati morti o in cattive condizioni”.

Una ricerca più recente, del marzo 2015, visibile al link https://www.quattrozampe.online/informazioni-dal-mondo-degli-animali/attualita/animal-hoarding-dati-statistiche/, riporta quanto segue “Secondo uno studio italiano, su 10 casi di Animal hoarder, sono state rilevate le seguenti statistiche: 58 anni è l’età media degli hoarder-3 maschi e 7 femmine-gli animali detenuti sono cani e gatti-74 è il numero medio di animali detenuti (min 14, max 170) su tutto il territorio nazionale”.

Il 24 maggio scorso, l’Eurispes ha pubblicato i Risultati del Rapporto Italia 2023, visibile al link https://eurispes.eu/news/risultati-del-rapporto-italia-2023/: Fra i numerosi dati, si legge “Nel 2023 la vivisezione non è accettabile per quasi 8 italiani su 10 (76,9%), così come l’uso delle pellicce (73,9%) e la presenza degli animali nei circhi (75,6%). Netto anche il rifiuto per la caccia (69%) anche se il dato è in calo rispetto allo scorso anno (76,1%). L’allevamento intensivo per uso alimentare rappresenta un altro di quei temi rispetto ai quali gli italiani hanno sviluppato grande attenzione e sensibilità: a dichiararsi contrario è il 72,7% degli italiani.[…] Nel 2023, secondo i dati rilevati dell’Eurispes, il numero di italiani che dichiarano di possedere un animale domestico è del 32,7% (-5% rispetto al 2022). Gli animali preferiti dagli italiani restano i cani (42%) e i gatti (34,4%). Il 18,7% di chi ha un animale in casa dichiara di spendere meno di 30 euro al mese per i propri pet […]. Il 12,1% spende una cifra compresa tra i 100 e i 200 euro al mese, mentre solamente il 3,2% spende tra i 200 e i 300 euro mensili. Tra le voci di spesa, quelle dove si tende a spendere di più sono legate alla salute e all’alimentazione. Diversi i tagli effettuati per affrontare le spese per i pet: c’è chi acquista cibo meno costoso (35,8%), chi rinuncia ad adottare un nuovo animale (36%), ma anche chi sceglie di rinunciare a cure o interventi chirurgici (28,5%) o ridurre le visite veterinarie (26,3%)”.

Il fenomeno si è accresciuto negli anni e, al tempo stesso, si è accompagnato a una maggiore sensibilità delle istituzioni: si è passati dai casi cosiddetti “eccentrici”, in cui alcuni “appassionati” detenevano diversi cani e gatti in una sorta di piccolo zoo domestico, sino ad arrivare a situazioni di assoluto degrado. In alcuni casi, è stato notato come questi accaparratori fossero il terminale unico per coloro che volevano sbarazzarsi degli animali domestici in maniera “discreta”, senza abbandonarli per strada.

A livello mediatico, è opportuno documentare e sottolineare tali gravi situazioni, per i diretti interessati e per i vicini coinvolti. È necessaria anche un’opera capillare delle forze dell’ordine per vigilare sui casi possibili nonché l’attenzione dei professionisti del settore (psichiatri, psicoterapeuti), per valutare le cause del disturbo e intervenire in modo orientato e appropriato.

È inquietante e triste rilevare come un comportamento che si fonda su un presunto altruismo e che intende concedere del bene e dell’aiuto, finisca nel precipizio di un amore assente, egoista e altamente pericoloso per tutti. È opportuno, in ogni caso, capire le cause che hanno condotto gli accaparratori a scivolare in tale stato di isolamento, abbandono, disistima personale, solitudine, assenza di relazioni interpersonali e quanto la società attuale sia responsabile di questi disturbi.

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