Sindrome di Kawasaki e covid-19: c’è correlazione?

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Preoccupa l’escalation di casi riscontrati nei bambini di una forma particolarmente aggressiva della sindrome di Kawasaki. A New York, ma anche in Gran Bretagna e in alcune regioni italiane, si sono avute trenta volte più diagnosi positive dello scorso anno considerando lo stesso intervallo di tempo. Il pensiero è che questa nuova forma di sindrome di Kawasaki, che ha portato purtroppo anche al decesso di alcuni bambini, sia in qualche modo correlata alla pandemia di coronavirus. In Terris ha chiesto delucidazioni ad dott. Andrea Campana, primario del reparto di Pediatria Multispecialistica del Bambin Gesù, sede di Palidoro, e attualmente responsabile dei reparti adibiti ai bambini positivi al covid-19.

Il dott. Andrea Campana

L’intervista

Dottor, Campana, perché questa escalation di casi di sindrome linfonodale muco-cutanea (conosciuta anche come malattia di Kawasaki) in Usa, Gran Bretagna e Italia?
“E’ scorretto parlare di malattia. Si tratta infatti di una sindrome: questo sta ad indicare che non ne è nota la causa. Nello specifico, la sindrome di Kawasaki o sindrome linfonodale muco-cutanea è una vasculite infantile delle arterie di media e piccola dimensione che colpisce soprattutto le arterie coronarie. È caratterizzata da febbre prolungata, esantema, congiuntivite, mucosite, linfoadenopatia cervicale – linfonodi ingrossati – e poliartrite di gravità variabile. Se non diagnosticata in tempo può complicarsi con la comparsa di aneurismi delle coronarie, ma è una situazione rarissima, sulla quale tutti i medici pediatri sono stati sensibilizzati. Ha una sintomatologia tipica perciò è possibile fare una diagnosi clinica precisa e curarla in tempo. La cura porta alla completa guarigione del bambino, senza effetti collaterali o complicanze. Per quanto riguarda l’allarme di queste settimane, la Società Italiana di Pediatria, attraverso il gruppo di studio di Reumatologia aveva comunicato la presenza di casi di sindrome di Kawasaki già da tempo. Anche qui al Bambin Gesù abbiamo avuto tre/quattro casi nel giro di due mesi – valori non più alti rispetto a quelli attesi – che hanno riguardato bambini piccoli, sui 2-3 anni, che sono stati curati da prassi”.

Però questa “versione” della sindrome di Kawasaki sembra essere diversa rispetto alla casistica classica. Perché?
“Sì. A livello mondiale, noi medici italiani forse siamo stati i primi ad osservare – anche se non i primi a descrivere scientificamente – che questa tipologia di sindrome stava colpendo anche bambini più grandi, che non rispondeva alla terapia antibiotica né a quella aintiinfiammatoria e aveva – a differenza della sindrome di Kawasaki comunemente nota – un corredo sintomatologico molto importante. Nello specifico, oltre alla febbre, i bambini presentavano dolori addominali molto forti, dolori articolari, rush cutaneo. Questo perché non dovremmo dare un’etichetta con un nome specifico, ma dovremmo chiamarla semplicemente sindrome iper infiammatoria; tra le tanti possibili, c’è anche quella di Kawasaki”.

I casi seguiti al Bambin Gesù voi come si sono risolti?
“I sintomi che iniziali ci avevano un po’ allarmato e ci hanno consigliato di essere particolarmente prudenti per non arrivare ad avere nel bambino un’evoluzione diagnosticamente sfavorevole come si osserva negli adulti in terapia intensiva. I nostri bambini avevano il tampone negativo, ma nonostante la negativizzazione si sono manifestati i sintomi sopra citati. Perciò li abbiamo ricoverati in terapia intensiva – anche se non avevano problematiche neppure lontanamente simili o gravi a quelle degli adulti – e abbiamo somministrato una terapia molto simile per dosi e farmaci a quella degli adulti. Questo ha portato in termini clinici ed ematochimici a una rapidissima risposta e – nonostante siano tuttora ricoverati in reparto – sono molto migliorati e non destano particolati preoccupazioni”.

Il coronavirus e la sindrome di Kawasaki sono correlati?
“Sarebbe bello aver trovato l’eziologia della Kawasaki, cioè le cause che provocano l’insorgenza dell’infiammazione: se infatti fosse il coronavirus la causa della Kawasaki avremmo risolto un problema. Ma mi pare improbabile. Penso che l’aumento dei casi evidenziati in questa pandemia siano solo situazioni occasionali e non correlate, se non che un virus può condurre più frequentemente ad una malattia infiammatoria. Questa potrebbe essere la spiegazione dei recenti bambini malati – circa un centinaio – presenti a New York in questi giorni. Infatti, i casi di bambini positivi al coronavirus nella Grande Mela – principale focolaio degli Stati Uniti – sono tantissimi. Per avere dati più sicuri sulla possibile natura comune tra i casi europei e quelli statunitensi nonché alcune risposte sulle terapie migliori per non avere complicanze, bisognerà aspettare ancora qualche tempo e ulteriori studi”.

In conclusione, cosa diciamo ai genitori?
“Che non c’è da preoccuparsi. Per un motivo molto semplice: nel bambino la malattia – sia quella iper infiammatoria sia il covid – ha sintomi molto più lievi rispetto agli adulti. In particolare il coronavirus: dei 48 bambini che abbiamo avuto in questi tre mesi, 40 erano quasi asintomatici o avevano sintomi molto lievi; solo due hanno avuto una sintomatologia più importante, ma non grave, e ne stanno uscendo benissimo. Perciò nessun allarmismo, solo attenzione nel seguire le raccomandazioni ormai note e – se ci sono dei dubbi – non avere timore di portare il bambino in ospedale per una visita”.

Sempre con le risposte del dott. Andrea Campana, primario del reparto di Pediatria Multispecialistica del Bambin Gesù, leggi anche: “Bambini e coronavirus: le 10 risposte dell’esperto alle paure delle mamme”.

Milena Castigli: