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Sette minuti per cambiare tre vite

La settimana scorsa giornali, radio, tv e web ci hanno raccontato la storia di una mamma che ha abbandonato suo figlio, di appena sette mesi, sul bordo di un marciapiede, vicino alla stazione Termini di Roma ed è fuggita con l’altra figlia, di cinque anni, prendendo un treno diretto in Germania. Tutto questo è successo alle cinque del pomeriggio, nessuno se ne è accorto, nessuno è intervenuto. Saranno le telecamere della zona a mettere a fuoco quanto accaduto e a permettere il riconoscimento della donna.

 

La storia è drammatica e non importa conoscere tanti altri dettagli della vita di una ragazza di venticinque anni madre due volte di due bimbi senza padre, che da sola ha girato mezza Europa, senza mai trovare una casa. Senza mai sentirsi a casa, come nella comunità che l’aveva accolta dopo l’intervento dei servizi sociali. Certo la domanda fatta non appena è stata fermata dagli agenti della Polfer è stata per il figlio, per sapere come stesse. Questo lascia aperta la speranza che si sia trattato di un gesto estremo, ma sofferto. In realtà nessuno può dirlo e nessuno può giudicare il cuore di quella donna. Nessuno. 

 

Quello che però colpisce è come siano bastati sette minuti per distruggere tre vite, per deviarle e segnarle. Ma – vorrei aggiungere – non “per sempre” perché anche da questa tragedia può esserci una ripartenza, a cominciare dai due figli che potranno trovare accoglienza, amore e condizioni di vita migliori e che potranno lentamente rielaborare e superare quel che hanno vissuto, subito. Anche la mamma, se lo vorrà, potrà intraprendere una strada diversa rispetto a quella dell’illegalità che aveva scelto qualche giorno fa compiendo il reato di abbandono di minore. Eppure la legge italiana prevede sia il diritto di partorire in anonimato in ospedale e non riconoscere il figlio, 400 casi in Italia nello scorso anno e dal 2006 sono state ripristinate le “ruote degli innocenti”: a Roma, presso l’ospedale “Policlinico Casilino” c’è il presidio denominato “Non abbandonarlo, affidalo a noi” e proprio come le antiche ruote, il presidio fornisce assistenza e soccorso ai neonati abbandonati, garantendo riservatezza e anonimato alle madri che, per ignoranza o per altri motivi, non vogliano affidarsi alle garanzie offerte dalla legge. 

 

In tutta questa storia, infatti, quel che sembra mancare è proprio la convinzione che il futuro possa cambiare in meglio, anche quando tutto è nero. Sicuramente non c’era molta speranza in quella donna che ha abbandonato il figlio, senza pensare che avrebbe potuto trovare altre soluzioni nel rispetto della legge e soprattutto di quella vita appena nata e che non ha colpa per quel che è successo. Lui, responsabilità non ne ha. Eppure ci vorranno tutte le sue energie per uscire fuori da questa storia di non amore.

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