Senghor-Condé: un binomio per l’Africa. E’ andata all’asta la biblioteca privata del poeta senegalese di lingua francese Léopold Sédar Senghor (1906-2001), che con Aimé Césaire fu il vate e l’ideologo della negritudine, oltre che primo presidente del Senegal indipendente tra il 1960 e il 1980. E’ stato l’Hôtel des ventes di Caen, in Normandia, non lontano da dove Senghor si era stabilito dopo aver lasciato presidenza del Senegal, a mettere in vendita lunedì 15 e martedì 16 aprile la sua preziosa collezione di libri. L’asta ha presentato una serie di oggetti eccezionali, tra cui un libro d’ore del XV secolo proveniente dall’Atelier du Maître de l’Échevinage de Rouen, stimato tra i 12.000 e i 15.000 euro. E’ stata messa in vendita anche una pregiata edizione della Divina Commedia di Dante, oltre a opere di Immanuel Kant, La Fontaine, Federico Garcia Lorca e Paul Valéry, alcune in edizioni rare. In catalogo anche alcune opere autografate, tra cui una copia di “Les Paroles” di Jacques Prévert, con una dedicata datata marzo 1960.
L’eredità di Senghor
Il gruppo di ricerca internazionale “Léopold Sédar Senghor” si occupa della figura e dell’eredità del poeta a partire dai suoi archivi. E aveva chiesto alle autorità del Senegal di intervenire per impedire la vendita. “C’è la necessità di riportare questo patrimonio in Senegal per renderlo accessibile al pubblico. Lo Stato del Senegal potrebbe benissimo riacquistare almeno alcune di queste opere”, spiega Céline Labrune-Badiane, portavoce del Gruppo. Una proposta sostenuta dall’ex segretario di Stato per i senegalesi all’estero, Moïse Sarr, che vede questa dispersione come “una grave perdita per il nostro Paese e per le nuove generazioni dell’Africa“. Il Senegal custodisce già alcuni dei beni di Senghor dal 2021, quando l’Hôtel des ventes di Caen programmò una vendita di circa 200 lotti. I doni diplomatici, tra cui una collana ricevuta in occasione del conferimento dell’Ordine del Nilo in Egitto, furono ritirati dalla vendita e acquistati dallo Stato africano.
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Nobel
Intanto l’Africa perde un altro suo simbolo universale. Addio ad una grande signora della letteratura mondiale, più volte in odore di Nobel: è morta all’età di 90 anni la scrittrice francofona originaria della Guadalupa, Maryse Condé, autrice di una trentina di opere sull’Africa, sulla schiavitù, sulle molteplici identità del mondo nero, caraibico ed africano. Condé, che era nata l’11 febbraio 1934 a Pointe-à-Pitre, nella Guadalupa francese, è deceduta nel sonno all’ospedale di Apt, nel sud della Francia, dove si era ritirata da qualche anno. L’annuncio è stato dato dal marito e traduttore, Richard Philcox. “Gigante delle letteratura, Maryse Condé ha saputo ritrarre i dolori e le speranze, dalla Guadalupa all’Africa, dai Caraibi alla Provenza. In una lingua di lotta e di splendore, unica, universale. Libera”, è stato il commento del presidente Emmanuel Macron, che in un messaggio diffuso su X rivolge le più sentite condoglianze “alla famiglia, ai cari, ai lettori”. Nella pioggia di omaggi, anche quello della ministra della Cultura, Rachida Dati: “La potenza della sua scrittura, la lucidità del suo sguardo sulla nostra storia, la sua capacità di scoprire le piaghe rimaste vive della storia coloniale facevano di Condé una delle scrittrici francofone più preziose“, sottolinea Dati. Mentre il presidente del consiglio territoriale di Guadalupa, Guy Losbar, invoca l’organizzazione di “un omaggio nazionale, alla misura del suo incommensurabile talento“.
Motivo di fierezza
Per aver vissuto e visto da vicino tanti Paesi africani (Costa d’Avorio, Ghana, Guinea e Senegal) Condé criticò i limiti del concetto di “negritudine” proposto da grandi intellettuali come Aimé Césaire e Lépold Senghor. “Non c’è alcun motivo di fierezza nell’appartenere a questa o a quell’altra razza. Rimetto in discussione il fatto che la Negritudine alimenti il concetto secondo cui tutti i neri sarebbero uguali. E’ un atteggiamento totalmente razzista, ereditato di fatto dai bianchi che credono che tutti i neri si assomiglino”, disse in un’intervista alla rivista Callaloo, nel 1989. Condé, la cui opera travalica i generi e i continenti, iniziò a scrivere intorno ai quarant’anni, dopo aver attraversato tante prove della vita. Dal suo arrivo a Parigi, per gli studi, nel 1953, alla perdita della madre, nel 1956, il razzismo, le nozze andate a monte con l’attore Mamadou Condé, anch’egli originario della Guinea, le condizioni precarie in cui ha cresciuto i quattro figli. Grazie al nuovo compagno incontrato in Sénégal, che diventerà suo marito e traduttore, Richard Philcox, potrà finalmente realizzare la vocazione di scrittrice, lasciando l’Africa nel 1970 ed iscrivendosi ad un dottorato in lettere a Parigi. “Stereotipo del nero nella letteratura antillese-Guadalupa-Martinica“, è il titolo della tesi da lei sostenuta nel 1976.
Terra d’origine
Dopo diversi lavori teatrali, la consacrazione come romanziera arrivò lo stesso anno con il libro “Hérémakhonon” seguito qualche anno dopo da “Ségou” (1984 e 1985), affresco in due volumi sul declino dell’impero bambara, in Mali, dal XVII secolo fino all’arrivo dei coloni francesi. Condé tornerà nella sua terra d’origine, la Guadalupa, dove appoggerà la causa indipendentista, poi andrà a vivere negli Stati Uniti come docente di letteratura francese. Per dieci anni, dal 1995 al 2005, guiderà il Centro per gli studi francofoni della Columbia University di New York. Intellettuale e romanziera affermata anche Oltreoceano, Condé lascerà gli Usa nel 2013, per ritirarsi a Gordes, pittoresco borgo bagnato dal sole nel sud della Francia. In passato, è stata anche citata tra le possibili pretendenti al Nobel per la Letteratura. Tra l’altro, nel 2018, si aggiudicò a Stoccolma il “Nuovo Premio di Letteratura”, il cosiddetto Nobel alternativo, assegnato quell’anno da una “Nuova Accademia” che aveva preso il posto dell’Accademia svedese all’epoca travolta dagli scandali.