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Modello Senegal: parla ad Interris.it il responsabile della cooperazione sanitaria

“Un Paese stabile ma estremamente povero, c’è possibilità di un futuro migliore”, il racconto del responsabile delle attività

Dall’Italia al Senegal, l’associazione Diritti al Cuore svolge le sue attività mobilitando decine di volontari. Dalle immagini del loro sito web si comprende già tutta la forza e l’importanza del loro impegno. Un lavoro quotidiano che si traduce in forme di straordinaria cooperazione con i professionisti del Paese africano – da psicologi a medici alle autorità locali. “I nostri progetti promuovono la sanità in Senegal, aumentando la qualità di vita anche dal punto di vista sociale” come racconta a Interris.it Amir Mohamed, responsabile delle attività in Senegal.

Dove opera e che attività svolge la vostra Onlus?
“La nostra associazione svolge diverse attività sia in Italia sia in Africa (Senegal e Gambia). Svolgiamo attività di cooperazione allo sviluppo sociosanitario. Significa che ci concentriamo su progetti che promuovono la sanità in Senegal aumentando la qualità di vita dal punto di vista sociale”.

Nel dettaglio?
“In Senegal, abbiamo numerosi progetti che coinvolgono anche degli psicologi: lo sportello per le donne vittime di violenza. Inoltre, abbiamo un ambulatorio che si occupa di visite specialistiche alle donne in stato di gravidanza e ai neonati. Un altro progetto prevede la fornitura di una moto ambulanza nei villaggi in modo tale da potersi recare al centro sociosanitario più vicino”.

Che risposte date dal punto di vista del sostegno economico?
“Forniamo la possibilità di riferirsi ad un microcredito per le donne che raccolgono somme individuali che poi, messe insieme, permettono di aprire varie attività come negozi dediti alla vendita di prodotti igienici o tessili. Esiste anche un centro di formazione rivolto a giovani adolescenti per insegnare loro la lavorazione dei tessuti. Si tratta di una cooperazione: i professionisti che partecipano sono tutti cittadini senegalesi. Così, c’è la possibilità di aumentare l’offerta di lavoro”.

Quante persone coinvolge il progetto in generale?
“Parliamo di qualche migliaio di persone come beneficiari diretti, mentre il personale interno è composta da un centinaio di persone”.

Perché nasce lo sportello antiviolenza?
“Lo sportello è stato l’esito di una ricerca svolta sul campo. Siamo entrati in contatto con l’associazione delle Giuriste Donne. Dallo studio è emerso l’assenza di una struttura che potesse rispondere alle donne vittime di violenza che, sostanzialmente, venivano lasciate sole. Ora questo sportello offre consulenza psicologica oltre che la possibilità di partecipare a corsi tenuti da psicologi locali”.

In che condizioni è il Senegal?
“Il Senegal è un’eccezione rispetto agli altri paesi dell’africa sub sahariana. Nonostante una stabilità politica piuttosto durevole, la problematica principale è la povertà. Il Senegal è protagonista di questi progetti di cooperazione perché è visto come un Paese dalle molte potenzialità, che intesse relazioni diplomatiche con l’Italia e l’Europa da diversi anni. In Senegal i gruppi familiari sono anche di 15 persone che vivono in spazi angusti, questo a rispecchiare le molte assonanze con gli Stati vicini, ma la stabilità politica fa presagire un futuro diverso e migliore”.

Il Paese come ha reagito al Coronavirus?
“Per diversi quotidiani, il Senegal è il secondo Paese al mondo ad aver gestito in modo ottimale l’emergenza. Questo è stato possibile perché il Senegal ha dovuto rispondere nella sua storia a diverse epidemie come ebola o la malaria. Io ero lì quando in Europa già era esplosa la crisi. In Senegal i primi casi arrivarono a metà marzo: con solo 70 casi positivi il governo aveva deciso di stabilire il coprifuoco, fornire gel igienizzante, imposto l’utilizzo della mascherina. Con largo anticipo rispetto a noi. Al momento i casi positivi sono 14-15mila. Cifre irrisorie rispetto all’Europa anche se bisogna considerare la scarsità di test fatti in Senegal. In ogni caso, il sistema sanitario non è collassato. L’età media senegalese è di 19 anni, perciò il virus non ha avuto conseguenze disperate”.

Voi come vi siete comportati durante la pandemia?
“Abbiamo dovuto rimodulare le attività. Prima avevamo l’ambulatorio e lo sportello all’interno di alcune scuole. A causa del Covid-19, le strutture scolastiche sono state chiuse. Noi abbiamo aperto un programma emergenziale denominato Insieme. Contro il Coronavirus: di concerto con le autorità locali, ci siamo mossi per acquistare e distribuire dispositivi di protezione individuale a tutti i centri sanitari con i quali già collaboravamo. Le mascherine, termoscanner, occhiali, visiere e tutte, in effetti, mancano, nonostante le molte donazioni estere.

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