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Lezioni
Barbiana
Modello Barbiana, quindi. Non una “biografia critica che ancora manca” ma un saggio- strumento “per sfogliare la vita e le immagini di una vita: un invitato alla lettura della sua parola, della sua figura, senza attualizzazioni superficiali, lasciando tutta la distanza fra quel presente, altro dal nostro, che era il suo”. E’ proprio nella forma dell’avviso che lo storico della Chiesa, Alberto Melloni introduce il lettore alla sua ultima fatica, “Storia di μ Lorenzino don Milani“, una biografia non convenzionale del prete di Barbiana pubblicata dall’editore Marietti nel centenario della nascita. E che ricorre al μ, cioè al “mi” greco “non per trovare un’abbreviazione insolita né per vezzo”, scrive Melloni. Ma per lasciare intatti i nomi con cui lo chiamava chi lo ha amato da vivo. Lorenzo, Lorenzino, il cappellano, il “Priore”. Così, nel volume, si ripercorrono le fasi della vita del prete tanto avversato quanto poi celebrato. Accompagnate da fotografie dell’archivio di famiglia e di un giovanissimo Oliviero Toscani in visita a Barbiana oltre ai versi di Fabrizio de Andrè. Un espediente, quello dei ritratti e dei versi poetici, per avvicinare a una conoscenza più autentica dell’autore di “Lettera a una professoressa“. Figura forte del Novecento italiano, omaggiata a più riprese anche da papa Francesco, scrittore, docente, educatore dei più poveri col motto “I Care”. Su don Milani tanto è stato scritto pur senza che se ne intaccasse il fascino, per certi versi ancora enigmatico.
#donMilani
Ma è dalle incrostazioni sulla sua lezione, stratificatesi nel tempo una dopo l’altra, che Melloni sembra voler depurare e liberare una volta per tutte il sacerdote fiorentino. “Confinato” a Barbiana da “un ceto ecclesiastico insopportabile che nemmeno merita i titoli di deficiente o indemoniato”. “Ricorrere a quel #donMilani usato senza un respiro in mezzo, come un hashtag ante litteram – puntualizza l’autore all’Ansa-, è diventato impraticabile, infradiciato com’è sia dal pedagogismo di maniera sia dal dileggio mediocre dei mediocri pentiti del Sessantotto. O del vuoto di idee politiche in cerca di sfondi o dal bisogno di autoassoluzione ecclesiastica”. Don Milani, sembra suggerire Melloni dal titolo dell’ultimo paragrafo, altro non era semplicemente che “un prete cristiano“. Significativa la conclusione del volume che Melloni affida alle parole che il poeta e giornalista Giovanni Giudici vergò, un mese dopo la morte di don Milani. “Giornali che sono spesso prodighi di lodi a ogni profeta integrato del momento hanno ignorato la morte di don Lorenzo, il 27 giugno 1967. La televisione ha fatto sfoggio di una “imparzialità” a prova di virgola (nome, cognome, è morto oggi a Firenze), appena scalfita emotivamente dal particolare dell’età. Quarantaquattro anni. Ma è bene sia stato così: gli onori militari resi dal nemico non sono desiderabili, specialmente quando chi li riceva sia stato, a sua volta, un vero nemico nei confronti di quello che sopravvive”