“Scrolling”, fenomeno sempre più diffuso e globalizzato nel mondo contemporaneo, consiste nello scorrere del dito, sullo schermo del telefono cellulare, per vedere il contenuto dei social e del web.
Il termine inglese, traducibile con “scorrimento”, può riguardare diversi tipi di dispositivi ma si verifica soprattutto con l’uso dello smartphone, in cui, in genere, con un movimento verticale del dito, dal basso verso l’alto, si susseguono pagine, contenuti, immagini, video, testi, ecc.
Si parla, spesso, di “scrolling infinito” poiché i social, in particolare, offrono una sequenza, di immagini, video e post vari, sostanzialmente illimitata, che abbraccia e ipnotizza l’individuo; può creare una sorta di dipendenza, impegnando gran parte della giornata. I soggetti più a rischio sono gli adolescenti e le persone sole; lo sono, purtroppo, anche i bambini.
In tale vorticoso alternarsi di immagini, testi, video e colori, chi è dipendente dallo scrolling dimentica il mondo circostante e si isola sempre di più. Grande ansia, inoltre, suscita, per alcuni, il rammarico nel momento di interrompere lo scrolling ed essersi perso qualcosa di importante. Non si è in grado di frenare l’impulso a scorrere e si rimane con l’angoscia di essersi privati di un argomento o di una fotografia. In realtà, con tale dipendenza, ci si priva di altro; della vita vissuta e della socialità.
La ricerca spasmodica e rapida è alimentata da molti stimoli, tra cui le notifiche e tutto ciò che riguarda la messaggistica. Si è evidenziato un meccanismo automatizzato e robotico nello scrolling, privo di attenzione selettiva ma molte volte, in realtà, si agisce consapevolmente, con intenzionalità, finalizzati a un obiettivo. Sembra esprimere libertà, di pensiero e di azione ma, in realtà, si concretizza in una schiavitù. Il problema sorge nella misura, nel tempo e nella dedizione/abbandono dedicato a tale attività. Il passaggio da un uso moderato, come passatempo (durante un’attesa), a scopo di vita, è molto semplice.
C’è anche l’altra parte dello scrolling: chi lavora per favorirlo. Gli esperti del settore, infatti, suggeriscono, per siti e social, come essere più accattivanti, in tema di marketing, nell’attirare utenti/clienti; il segreto più importante è nella semplicità dell’interfaccia.
I social sono strategicamente ben strutturati, nel design e nei colori, per attirare il più possibile la platea. La tecnica si basa sulla profilazione, puntando sui dati e i gusti conosciuti dell’utente ma nei social (a esempio Facebook) la bacheca si distribuisce su argomenti vari, alcuni più specifici, altri più di contorno; ognuno, comunque, un potenziale fiume in piena verso mari sconfinati.
Come in ogni droga, anche questa dipendenza comportamentale crea piacere (sviluppa il neurotrasmettitore della dopamina, coinvolta nel circuito della ricompensa) ma sviluppa anche assuefazione, per cui richiede quantità sempre più elevate. Crea, inoltre, crisi di astinenza nel caso in cui si interrompa il movimento delle dita sullo schermo.
La difficoltà, per i più esposti, è quella di “smettere”, da qui la stretta analogia con le sostanze psicoattive.
Particolare accelerazione al fenomeno si è avuta nel periodo della pandemia, in cui si è sviluppata la versione “doom” (condanna, destino), da qui il termine “doomscrolling”, la ricerca continua di notizie sul virus, nel caso specifico ma abbinate a ogni altra calamità. Per un meccanismo ricorsivo, supportato dagli algoritmi dei social, si è alimentata (e si alimenta) la sete di notizie sensazionali ed emozionali, ritenute più coinvolgenti. L’individuo cerca di sanare le proprie paure approfondendo ma, in questo, le rafforza, le alimenta, certifica l’ansia e non si accontenta delle presunte spiegazioni.
Il “Video del Papa”, diffuso il 2 aprile 2020, conteneva questa intenzione di preghiera del Pontefice “Sicuramente avrete sentito parlare del dramma delle dipendenze. E avete pensato anche alla dipendenza dal gioco, dalla pornografia, da Internet, e ai pericoli dello spazio virtuale, Basandoci sul ‘Vangelo della misericordia’ possiamo alleviare, curare e guarire le tante sofferenze legate alle nuove dipendenze. Preghiamo affinché tutte le persone sotto l’influenza delle dipendenze possano essere ben guidate e accompagnate”.
Francesco Pira, docente di Comunicazione e Giornalismo presso l’Università degli Studi di Messina, è l’autore del volume “Figli delle app” (sottotitolo “Le nuove generazioni digital-popolari e social-dipendenti”, pubblicato da “Franco Angeli” nel febbraio 2021. Parte dell’estratto recita “Tutti accomunati nell’evidente dicotomia tra connessione e relazione. Dalla non-comunicazione all’iper-comunicazione, alla vetrinizzazione dell’io e alla sistematica manipolazione, consapevole o meno, della realtà, con impatti profondi sulle dinamiche di sviluppo della società nel suo complesso”.
Il 4 agosto scorso, il blog Passport-photo online, ha intervistato 1029 persone per comprendere la relazione fra gli utenti e i social. Fra i numerosi risultati ottenuti, visibili al link https://passport-photo.online/it-it/blog/scrollare-social-media-dopamina-studio/, si legge “Per l’84% degli utenti, i social media creano dipendenza. Il 70% delle persone crede che i social media abbiano ridotto la loro soglia di attenzione. Il 78% crede che i social network li abbiamo resi invidiosi delle vite altrui. Il 94% dei lavoratori crede che usare i social media a lavoro li aiuti a ricaricarsi, li faccia sentire più produttivi. L’83% dei lavoratori trova che i social media siano utili per creare reti e scoprire nuove opportunità lavorative. […] ‘A cosa ti aiutano maggiormente i social media?’ Stare più in contatto con famiglia e amici: 40%. Diffondere notizie su eventi importanti: 39%. Avere modo di mandare messaggi a più persone per volta: 37%. Costruire relazioni: 36%. Informarsi e imparare: 34%. Trovare uno spazio dove dar sfogo alla propria libertà di espressione e creatività: 30%. […] Microsoft ha scoperto che dal 2000, la soglia di attenzione dell’utente medio è passata da 12 a 8 secondi. Questo è quanto tempo in media trascorrono sui social media ogni giorno: Fino a 30 minuti: 43%. 31–59 minuti: 39%. 60–120 minuti: 16%. 121–180 minuti: 2%”.
Il I marzo 2023, l’AGI ricordava “Trascorriamo quasi un quarto delle nostre giornate a fare scroll in Internet. Il rapporto Estado Móvil del 2022 assicura che trascorriamo, in media, almeno cinque ore assorti, con il collo piegato all’in giù, trascinando il dito sullo schermo”.
Il fenomeno è trasversale e riguarda tutte le età. Si tratta di una “droga” così potente e diffusa dalla quale è difficile “disintossicarsi”.
L’universo dei like, delle immagini e del successo relazionale è tutto lì: attraverso lo schermo dei sogni (non lo specchio di Biancaneve), si vaga nello spazio e si fluttua in questa dinamica diversa dal primo “navigare”, tra contenuti, con l’esordio di internet. Non si scelgono siti e link, si cambia compulsivamente, nel vortice infinito, alla ricerca di aspetti sempre più interessanti.
Il parallelo è con la catena di montaggio di una fabbrica. Propone, senza sosta, dei contenuti apparentemente vari ma, in realtà sempre uguali e ripetitivi, sino all’alienazione. Quest’atteggiamento, spacciato per “ricerca”, effettuato per ore al giorno (anche la notte, con inevitabili ripercussioni) e in modalità ipnotica riempie, di altrettanto vuoto, quello cognitivo, sociale, emozionale e culturale di chiunque.
In quella ruota che gira incessantemente, si perdono identità e personalità, tritate e fluidificate nel nulla.
Un interrogativo importante si pone, in particolare, sulle capacità di discernere, soprattutto fra i giovani, che si approcciano alle decisioni importanti della vita. È possibile mantenere una sana comprensione della realtà e saper valutare, in modo autonomo, senza mediazioni di motivatori e influencer, le scelte e le decisioni di rilievo?
Per uscirne è necessario invertire il senso di marcia dello scrollare e tornare indietro, metaforicamente e di fatto. La strada da intraprendere, nei casi più disperati, è quello di rifondare la socialità, concepire il prossimo come in carne e ossa e non virtuale, considerare gli eventi come tali, meglio se vissuti e non soltanto immaginati o raccontati.
L’esempio genitoriale è fondamentale anche in questo caso. Inoltre, rilevato un uso smoderato del telefono cellulare, occorrerebbe intervenire promuovendo altre attività più sane, coinvolgendo il giovane in altri utilizzi del tempo libero. Un atteggiamento di rivalutazione, soprattutto di tipo cognitivo-comportamentale, è la terapia più efficace: non divieti ma problem solving e rinforzi a comportamenti equilibrati.
L’asocialità di uno schermo rende altrettanto schermi i volti di quelle che, un tempo, erano persone. L’invasività tecnologica è a un bivio, in cui sta entrando anche l’AI (intelligenza artificiale). Senza ipocrisie e moralismi: l’individuo è davvero pronto, ne ha veramente bisogno ed è in grado di considerarla ancora e solo come un mezzo?
La velocità nello scorrere, comporta un’attenzione limitata, superficiale, spesso riferita solo alle immagini e ai suoni, senza stimoli cognitivi di rilievo. La logica è quella della sostituzione: un argomento scaccia l’altro, di continuo, senza sosta. L’approccio mentale segue quello pratico: transitorietà e fugacità dei contenuti e, di conseguenza, dei valori.
Il mondo esterno, quello reale e vero, “scorre” invisibile: l’attenzione è altrove. Si cerca, rollando, il prossimo nello schermo e, ammaliati, si ignora quello che passa accanto.