“Come tutte le grandi tragedie, la pandemia finisce per mettere alla prova il valore sociale della solidarietà che, di per sé, è un valore assoluto. Inevitabilmente quando si allarga la fascia dei bisogni (e la pandemia la dilata pressoché senza limiti) la solidarietà diventa oltre che atteggiamento anche misura. Nel senso che c’è bisogno di valutarne la portata“, afferma a Interris.it Angelo Scelzo, ex vicedirettore della Sala stampa della Santa Sede e sottosegretario del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali. In una situazione di emergenza planetaria come la pandemia la corretta informazione “non riguarda più soltanto l’acquisizione di notizie”. Ma, avverte Scelzo, “deve entrare a far parte di un sistema interconnesso“, di una “rete” naturale che, al di là delle stesse tecnologie, consenta di “allargare i campi di dialogo e di conoscenza”. Migliorando così “il rapporto non solo tra i singoli, ma anche tra le comunità”.
Solidarietà e informazione
Firma storica di Avvenire(dove è stato capo della redazione romana e inviato speciale) e del Mattino di Napoli, Angelo Scelzo ha ricoperto gli incarichi più importanti nella comunicazione vaticana. Sottosegretario al dicastero per le comunicazioni sociali, vice-direttore dell’Osservatore Romano, direttore dell’agenzia Fides, responsabile delle comunicazioni per gli eventi del Grande Giubileo del 2000, vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede.Cosa significa comunicare correttamente il valore sociale della solidarietà?
“E’ necessario parlare di solidarietà in rapporto alle comunità. E cioè territori, popoli, nazioni quando non, come nel caso del coronavirus, aree geografiche tanto estese da non avere E’ una dimensione planetaria che la solidarietà già conosce come proprio territorio naturale. Ma la pandemia sta aggiungendo qualcosa di nuovo e di diverso poiché sta introducendo, nel cuore stesso della solidarietà, forme di espressione straordinariamente varie, come a volerne ancora espandere il respiro”.A cosa si riferisce?
“C’è la solidarietà visibile e, direi organica, degli aiuti (ricoveri, mense, generi alimentari, forme di assistenza economica) che tuttavia non ha oscurato il valore (concretamente sociale) di un altro genere di ‘mano tesa’. Quella dei gesti minimi, la telefonata che rompe l’isolamento, la lettera, il biglietto, il saluto dalla finestra. Si è vista in campo tutta la fantasia che la solidarietà può muovere contro un nemico che, come primo atto di offesa e di dileggio, ha imposto proprio la formula della solidarietà al contrario. Quel ‘distanziamento sociale’ che è un ossimoro, un controsenso anche letterale”.
Può farci un esempio?
“Più che in altre occasioni, la solidarietà al tempo della pandemia ha dimostrato di saper difendere per prima se stessa. Non è stata, insomma, contagiata a sua volta. Anzi è riuscita, almeno lei, a creare gli anticorpi giusti”.Chi paga il prezzo più alto della crisi Covid?
“Una risposta apparentemente facile: i più deboli, i poveri, coloro ai quali la vita ha già chiesto molto, anzi troppo. Ma questo virus non ha provocato solo sofferenze per così dire ‘aggiuntive’. Si è rivelato, e continua a esserlo, un grande bacino in proprio, capace di tirar fuori ogni tipo di armamentario per colpire a fondo l’uomo e la sua vita quotidiana”.Cioè?
“L’uomo e il suo mondo intorno, perfino l’uomo e i suoi affetti. I termini in uso sono stati quelli dell’emergenza sanitaria e dell’emergenza economica. La realtà è che il Covid ha seminato morte e devastato economie. Anche chi era in salute e chi era nel benessere ha pagato prezzi estremi. Certo, se si pensa che i conti sono ancora in sospeso, è naturale pensare che il cumulo delle sofferenze si abbatterà ancora con maggior forza”.Con quali conseguenze?
“Farà danni in proporzione, sugli edifici fragili di una società così largamente segnata dagli squilibri. Ma è l’impalcatura complessiva che continua a esser messa alla prova. Questo virus sembrava conoscere tutto di noi, e soprattutto i nostri limiti, le nostre inadeguatezze. Ha mirato al bersaglio grosso dei nostri punti deboli”.La pandemia rende più solidali o egoisti?
“Di suo la pandemia spinge, e in maniera forte, verso la chiusura. In un certo costringe sulla difensiva, e a rinserrarsi quindi in se stessi; a cercare, magari, un rifugio, o almeno un cono d’ombra nel quale stare al riparo. Ma, anche per i modelli e ritmi di una vita quotidiana sempre più convulsa, si tratta di atteggiamenti se non innaturali, quantomeno impraticabili. E’ difficile restarsene nel guscio o accontentarsi di veder scorrere la vita dalla finestra. Ma tra il rinchiudersi o passare alla solidarietà, è stato prevalente, nel pieno dell’emergenza, un altro stato d’animo: lo sconcerto, un vero e proprio smarrimento che portava a non credere a una realtà che pure scorreva sotto gli occhi di tutti. Abbiamo stentato a renderci conto di ciò che avveniva; delle conseguenze che riversava contro di noi, un micro organismo invisibile, infido e misterioso”.Cioè?
Ci ha aperto per prima gli occhi il papa, in quella sua straordinaria preghiera del venerdì santo sul sagrato di piazza San Pietro, deserta e senza voci: “ Ci eravamo illusi di abitare da sani un mondo malato”. Ecco. Il Papa svelava per tutti la vera, grande fake-news non solo della pandemia, ma del nostro tempo. Occorre ripartire da questo per dare un senso nuovo anche alla nostra esigenza di solidarietà. Certo. I rischi che questa pandemia può far correre, in aggiunta ai tanti già esistenti, alla nostra umanità, sono forse incalcolabili. L’esclusione sociale è uno di questi, nel senso che si tratta di un fossato che la crisi economica può allargare a dismisura”. E’ come per i lebbrosi del Vangelo?
“La disoccupazione, i mercati fermi, le disuguaglianze nella distribuzione dei beni: è difficile non pensare che la fila degli ultimi è destinata ad ingrossarsi. Lei cita i lebbrosi del Vangelo, e il riferimento è proprio quello del divario sociale, anzi dello “scarto fisico” che allontana, tiene distante l’uomo dall’uomo. La pandemia ha introdotto, tra le sue minacce sanitarie, anche questo “veleno” a più largo spettro. Tenerci distanti e a “giusta” misura gli uni dall’altro può diventare lo scenario di prova per mandare poi in onda, in forma corrente, un modo diverso dello stare insieme, e quindi della qualità dei nostri rapporti. La distanza può essere il nuovo rischio di un umanità ancora scossa dai colpi della pandemia”.
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