“La Sartoria Sociale nasce nel 2012 dalla cooperativa Al Revés di Palermo che a sua volta nasce dall’ “inquietudine” creativa e professionale di un gruppo di persone impegnate nell’ambito sociale già da molti anni.
Quello che ci ha spinto a creare il progetto è l’istanza etica di rispondere concretamente e creativamente all’esigenza di cambiamento di chi ha sperimentato sentimenti di disperazione, di chi ha vissuto ai margini esistenziali e sociali e cerca una via di riscatto”.
Da dove nasce l’idea?
“L’idea nasce in un periodo in cui si cercava di trovare strade per l’inserimento lavorativo dei migranti e da un viaggio in Africa in cui osservammo che vi sono baracchini di sartoria sparsi per i villaggi. Da qui il contatto con il Centro Astalli di Palermo e l’incontro con tante persone che sapevano usare la macchina da cucire. Dall’idea all’impresa poi c’è voluta tanta strada e tantissimo impegno“.
Sono le parole di Rosalba Romano, socia fondatrice volontaria della coooperativa Al Revés di Palermo che ha raccontato con estrema dolcezza in mondo di “Sartoria sociale”. Si tratta di un’impresa nel campo del riciclo tessile e sartoriale, si trova in un bene confiscato alla mafia e gestisce anche un laboratorio di cucito presso la Casa Circondariale Pagliarelli.
“In sostanza lavoriamo sull’educazione all’auto imprenditorialità per offrire un servizio di presa in carico rieducativa di loosers, persone senza “speranza di vita”, predisponendo programmi personalizzati in base al soggetto svantaggiato in chiave socio-psico-educativa. Lo facciamo attraverso il lavoro creativo e il riciclo tessile: una seconda vita per le cose, una seconda vita per le persone”.
“Promuoviamo il cambiamento delle persone attraverso la trasformazione delle cose – continua Rosalba -. Offriamo dei prodotti che provengono da un processo di cambiamento (vendita di abbigliamento usato rivitalizzato, restyling e upstyling di abiti e accessori, critical fashion, merchandising, arte tessile d’arredo, bomboniere) e offriamo servizi che riguardino il campo del cucito e dell’abbigliamento (corsi di cucito, di riciclo creativo, servizi sartoriali, stireria, etc.)”.
“Tutto quello che facciamo e i prodotti e servizi che offriamo ci servono per reinvestire le risorse verso le attività sociali. Il nostro è un progetto di valorizzazione umana, di sviluppo dei talenti e delle relazioni umane“.
La nostra idea di sociale
“Convinti che i luoghi di accoglienza “standard” non sono più luoghi in cui andare a rappresentare i propri problemi per trovare soluzioni, vogliamo organizzare ‘Luoghi Altri’ in cui trovino spazio la creatività, le relazioni e la convivenza delle diversità”.
“Smettila di frignare e prendi una decisione” il motto di Sartoria Sociale
“Ciascuno è responsabile della propria esistenza, e, quindi, della propria felicità; ciascuno ha in sé il potere del proprio cambiamento. Questa Directory muove le fila di tutta la nostra impresa. Accogliamo persone ai margini di sé stesse e della società, offrendo un’opportunità per sostenere un cambiamento di direzione della propria esistenza”.
“Al Revés (il nome della nostra cooperativa) significa “Al contrario”, sta ad indicare l’inversione di tendenza, il punto di vista diverso da cui osservare sé stessi, la persona, il prodotto e l’offerta di servizi dell’impresa stessa”.
Siamo da sempre un’impresa di transizione
“Seguiamo le persone che vengono a fare un’esperienza da noi verso nuove e migliori occasioni. Quasi tutti dopo di noi si inseriscono in nuove esperienze lavorative a volte individuate anche da noi o realizzano nuove esperienze in tirocinii formativi per i quali individuiamo le aziende ospitanti che possono offrire una esperienza sostenibile per il tipo di problematiche connesse alla persona”.
Cosa rappresenta sartoria sociale nel mondo del Made in Italy? Quali sono i vostri progetti odierni e quelli futuri?
“Siamo una piccola realtà che sta lottando per conquistare uno spazio di mercato. Uno spazio locale attraverso la bottega artigianale, con i servizi di riparazione e gli abiti su misura, ma anche uno spazio nazionale ed estero attraverso l’ecommerce con la vendita online o con i servizi per le aziende”.
Quanto vi aiuta il territorio?
“Vivere in Sicilia non ci agevola. Noi potremmo lavorare moltissimo sul packaging, il merchandising e i prodotti personalizzati ma qui le imprese e le aziende sono poche. Il mondo produttivo è in crisi, quindi gli investimenti sul packaging e i prodotti personalizzati sono crollati totalmente. Adesso che anche gli eventi e le fiere sono sospesi tutto il lavoro di produzione seriale di shopper, zainetti ed accessori personalizzati è in forte crisi”.
“Il nostro impegno è forte anche sul fronte dell’educazione allo sviluppo sostenibile e alla moda etica (critical fashion), con la raccolta del Vintage e degli abiti second hand. Raccogliamo quello che la gente elimina dagli armadi e diamo nuova vita alle cose. Le donazioni di abiti e accessori da parte di privati e aziende, diventano materia da cui creare qualcosa di nuovo e dal forte contenuto etico o vengono igienizzati e reimmessi sul mercato”.
Come avete vissuto il lockdown e il periodo di emergenza sanitaria ancora in corso?
“In questo periodo di emergenza ci siamo rimboccati le maniche e grazie alla nostra vision ci siamo trovati a poter affrontare uno sforzo imprenditoriale e di investimento che questa Cooperativa ha avviato con lo sviluppo di nuove linee imprenditoriali, per esempio:
- Stampa su tessuto e produzione t-shirt con l’acquisto di una stampante tessile;
- Vendita mobile e di prossimità con l’acquisto di una motoape fashion da far girare per le vie del centro, votata ad ampliare il mercato all’ambito turistico e di prossimità.
Non mancano tuttavia grosse difficoltà di sviluppo a causa della crisi economica incombente con rischio per la copertura dei costi di gestione delle attività e dei costi delle risorse umane che questa Cooperativa dovrà affrontare.
Siete una sartoria che si basa sull’economia circolare, lo scarto per voi diventa materia prima. Quanto fa bene all’ambiente tutto ciò? Riesce a portare anche maggiori ricavi?
“Amiamo ripetere che “se è di seconda mano è di prima scelta”. Prima di andare a cercare qualcosa di nuovo dovremmo chiederci se quello che stiamo cercando non è stato già messo in circolo da qualcun altro prima di noi. Raccogliere l’eredità degli altri è sempre una enorme risorsa che l’Umanità ci mette a disposizione, non solo in termini materiali ma anche di racconto e narrazione”.
“Quando ci capita di creare una borsa a partire da un antico copriletto appartenuto a una determinata famiglia o persona, allora quel prodotto non contiene qualcosa in meno rispetto ad una borsa fabbricata in serie in Asia con lo sfruttamento dei lavoratori per due euro al giorno, ma qualcosa in più: una storia, un contenuto etico, una personalità unica e il lavoro pulito di persone che l’hanno cucita nella legalità, in un clima di convivenza fertile”.
Questo tipo di lavorazione avrà prezzi molto alti…
“Purtroppo fare capire tutto questo al cliente potenziale è molto difficile, per cui spesso gli investimenti fatti in questa attività non rientrano con le vendite. La gente pensa che la materia usata sia una materia di scarto e quindi economicamente inferiore. In realtà per mettere in vendita un prodotto fatto con materiali di riciclo dobbiamo affrontare tante spese: i costi dell’igienizzazione, i costi dovuti al fatto che tutti i nostri collaboratori sono messi in regola così come ogni singola attività che facciamo”.
“Fra l’altro, lavorando con persone svantaggiate e non abituate ad alcune dinamiche, il nostro processo produttivo è più lento di quello seriale e ricco di intoppi. C’è bisogno di una supervisione costante da parte dei nostri professionisti e tutto questo ha dei costi. Per questi motivi è impensabile e fuori discussione che uno shopper fatto da noi possa avere un costo di 2 euro come quelli che si trovano su internet, fatti chissà dove e da chi e come…Il punto è far arrivare il messaggio alla gente”.
Cosa significa aderire a questo progetto?
“Al Revés propone un’esperienza di lavoro fondata sul “ciclo di comunità. Ogni persona viene infatti inserita nell’ambito di attività a lei più consono, in cui possa essere responsabilizzata e valorizzata per le sue abilità. Chi ha delle abilità di tipo sartoriale potrà metterle a frutto in alcune mansioni, chi ha altri tipi di abilità trova spazio in altre attività.
Ragioniamo al contrario anche in questo: piuttosto che decidere a priori quali progetti sviluppare per poi cercare le persone adatte a portarli avanti, partiamo dalle persone. Qui ogni giornata e ogni attività sono imprevedibili nel bene e nel male! La nostra forza è data dalla nostra scelta di fondo: “Siamo tutti ex di qualcosa”: le nostre diversità sono espressione di qualcosa che ci accomuna, il fatto che ognuno di noi ha la sua storia, le sue battaglie, emozioni ed esperienze da mettere via o da trasformare in qualcosa di buono. La nostra è una realtà che mette il rispetto e l’accoglienza sopra ogni cosa“.
L’inclusione non si dice ma si fa
“E questa è la più bella e ardua scommessa. L’attuale situazione ci ha comunque messo a dura prova. La ripartenza è complicata, ci stiamo impegnando nel fund raising e stiamo progettando nuove iniziative di marketing e di servizi di prossimità. E’ stata necessaria anche una rimodulazione spaziale per fronteggiare l’esigenza del distanziamento sociale.
Gli eventi di vendita – mercatini, fiere, etc.- programmati sono saltati e pertanto si è fatto fronte alla gestione del personale grazie al supporto contributivo della Fondazione con il SUD e della Fondazione Vismara, che è stata la prima a credere in noi e che ha permesso di proseguire le attività progettuali concernenti le normative vigenti”.
La vostra sede si trova in una struttura confiscata alla mafia, che messaggio vuole lanciare Sartoria sociale in un territorio in un cui purtroppo la criminalità organizzata ha lasciato il segno?
“Il messaggio è forte e chiaro: scegliere l’onestà e riscattare il male con il bene. All’inaugurazione della nostra nuova sede nel novembre del 2017 Don Luigi Ciotti ci ha dato un monito: è il NOI che vince, e da sempre è stata la nostra scelta.
Per questo facciamo parte attiva sia di Libera che di Addiopizzo per testimoniare un esempio e non è facile visto che lavoriamo tanto con persone che arrivano per problemi con la giustizia e che il più delle volte si sentono vittime del sistema e non riconoscono i propri errori.
Il fatto di operare in un bene confiscato alla mafia si colloca sempre nell’ottica del riuso e del recupero: recuperare la dignità delle persone, recuperare il valore delle cose che esistono già anziché introdurre materia nuova, recuperare quindi anche lo spazio e i Luoghi come risorsa al servizio dell’Uomo, della legalità e della comunità”.
[1] Cfr. Paparelli A., “If you want to sing out, sing out”, Ticonzero n.102/2010