La sartoria che “ricuce” le vite delle persone in difficoltà

Da oltre dieci anni a Palermo la Sartoria sociale della cooperativa “Al Revés” è impegnata nell’inclusione professionale e socio-relazionale, coniugando alla solidarietà il rispetto per l’ambiente. Interris.it ha intervistato Rosalba Romano, socio-fondatore e responsabile

Foto per gentile concessione di Sartoria sociale Lab & Shop (www.sartoriasociale.com)

Mutare il nostro sguardo sulla realtà che ci circonda può essere il primo passo per il cambiamento. Far tornare una persona che si sente o viene considerata uno scarto, una risorsa, facendole (ri)acquisire consapevolezza del proprio valore, riqualificandola e responsabilizzandola, è restituirla alla vita con dignità e un beneficio per agli altri. Questo è quello che fa, andando avanti tra molte difficoltà in un contesto non facile, la Sartoria sociale della cooperativa palermitana “Al Revés”, impresa sociale fondata da volontari e dedita da oltre dieci anni all’inclusione professionale e socio-relazionale. “Facciamo da transizione verso il mondo del lavoro”, spiega a Interris.it Rosalba Romano, socio fondatore e responsabile, ma anche volontaria dell’associazione e assistente sociale nella vita di tutti i giorni, “nessuno rimane indietro”.

L’idea

Tutto è cominciato dodici anni fa, dopo il viaggio in Africa di alcuni volontari. “Anche nel mezzo del nulla qualcuno aveva una macchina da cucire”, racconta Romano, e da lì comincia a prendere forma l’idea di una sartoria come opportunità per le persone in difficoltà. “Pensavamo a un progetto che consentisse di lavorare sull’empowerment a partire dal saper fare, così ci siamo rivolti alle associazioni che seguivano le persone migranti chiedendo se c’era qualcuno che sapeva cucire”. La notizia si sparge e si fanno avanti in parecchi, così si avvia “l’associazione di volontariato che diventa impresa sociale”. In una situazione dove non è scontato sopravvivere. “Qui non c’è un mondo imprenditoriale e i nostri clienti sono singole persone, con budget limitati”, osserva la responsabile, “tentiamo di raggiungere altri mercati ma non è facile, anche perché ci sono già altre realtà, inoltre c’è poco interesse da parte delle istituzioni”.

Riciclo tessile

L’ambiente e le persone sono i due assi di lavoro portanti. Una sartoria lavora con i tessuti, così la prima cosa da fare è procurarsi la materia prima. “Con il riciclo tessile raccogliamo gli scarti, sia delle persone che svuotano gli armadi sia delle aziende”, illustra Romano, “li selezioniamo poi una parte la utilizziamo come scorta e l’altra la sterilizziamo per rivendere i capi come abiti di seconda mano”. Stando dalla parte degli ultimi, non manca la solidarietà. “Alcuni li regaliamo a chi ce lo chiede, sia singole persone che associazioni o realtà che lavorano con chi non ha dimora”, aggiunge. In una società abituata a consumare, riciclare è un gesto di cambiamento. “Si devono cambiare i piccoli comportamenti per il bene dell’ambiente e degli altri”.

Il lavoro

Accogliamo persone in difficoltà e facciamo da impresa di transizione verso mondo del lavoro”, spiega la responsabile. Sono migranti, persone con disabilità o problemi di salute mentale, ma anche chi ha problemi con la giustizia – “abbiamo un laboratorio nel carcere femminile”. Il processo di riqualificazione e inserimento professionale passa per i tirocini di formazione e i progetti rivolti a chi ha competenze manuali o sa cucire, anche grazie all’aiuto di chi è più esperto e può dare una mano a chi è all’inizio. “Nessuno rimane indietro perché qualcuno resta con noi mentre qualcun altro viene indirizzato verso altre aziende”, evidenzia come risultato la fondatrice.

Empowerment di comunità

Nella sartoria sociale non solo si impara un mestiere, ma anche come stare insieme agli altri sul posto di lavoro. “Non ci sono solo le competenze pratiche, ma anche i comportamenti da tenere come il rispetto degli orari, i comportamenti da tenere con i colleghi”, racconta Romano, “è un percorso di abilità umane in un contesto dove le persone vengono aiutate e a loro volta aiutano gli altri”. Per esempio, c’è chi oltre a lavorare come sarto alcuni giorni della settimana funge da responsabile del lavoro altrui. “Creiamo una comunità dove ciascuno può essere una risorsa per l’altro perché pensiamo sia questo l’empowerment: recuperare chi si pensa come uno scarto e farlo sentire una risorsa”.