In Italia, ad oggi, i ragazzi di età inferiore a 18 anni, in carico alla giustizia minorile sono 13.611, dei quali 316 detenuti in strutture carcerarie. In particolare, la Costituzione della Repubblica, all’art. 27, sottolinea il significato di responsabilità penale e la funzione della pena e recita al comma 3 “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
L’esempio di Bari
A Bari, nell’Istituto Penale Minorile “N. Fornelli”, in ossequio ai principi di rieducazione della pena, la cooperativa sociale “Semi di Vita” attua un progetto denominato la “Cardoncelleria Fornelli” per il quale è stata approntata una serra di 330 mq per la coltivazione di funghi cardoncelli e un laboratorio di confezionamento di 70 mq, la cui finalità è quella di ridare dignità ai ragazzi attraverso la legalità e pratiche agricole sostenibili. Interris.it ha intervistato, in merito a questa opera di inclusione, il presidente di “Semi di Vita” Angelo Santoro.
L’intervista
Come nasce il progetto “Cardoncelleria Fornelli” e che obiettivi si pone?
“Il progetto ha visto gli albori nel 2018 quando, ad un certo punto, la rivista “Le Due Città” dell’amministrazione penitenziaria italiana, ha pubblicato un articolo in cui asseriva che, se i percorsi di formazione e lavoro, cominciano all’interno delle carceri e sfociano con un inserimento lavorativo all’esterno, la recidiva si abbassa da un 70%/90% ad un 20%. Quindi, se una persona esce dal carcere e non lavora, ricomincia a delinquere, altrimenti può avere la possibilità di sistemare la sua vita in meglio. Grazie a questo passaggio e all’aver intercettato alcuni fondi del ministero della Giustizia sull’inserimento lavorativo di giovani dell’area penale, siamo riusciti ad ottenere insieme al carcere di Bari, all’Istituto Penale per Minorenni “Fornelli”, la somma necessaria per poter costruire una serra all’interno dello stesso. Dimostrando così che, attraverso alcune azioni di produzione vera e propria, si potevano assumere dei ragazzi e cercare di dare loro una possibilità rispetto a quella che è l’alternativa di tornare a delinquere all’esterno del carcere”.
Quale valore ha il lavoro come forma riabilitante per i giovani in condizione di fragilità all’interno del carcere?
“Il lavoro ha un valore molto importante. È complicato dimostrare ai ragazzi che vale di più un lavoro retribuito onestamente rispetto a cifre molto alte che loro recuperano facendo azioni delittuose. C’è sempre l’antitesi del guadagno poco ma sono libero rispetto al guadagno molto denaro ma mi posso ritrovare in carcere. In questo momento la difficoltà è, far capire che, guadagnando poco, lo stesso non è solo di tipo economico, ma soprattutto della libertà. Nell’ambito minorile parliamo di ragazzi che entrano all’interno dell’istituto a 16/17 anni e, siccome la giustizia riparativa in Italia lavora molto bene, nel carcere minorile rimane chi deve scontare delle pene molto lunghe e ha commesso dei reati molto gravi. Noi lavoriamo su di loro, sugli ultimi, su coloro che si ritrovano a fare delle scelte difficili perché, ad un certo punto, torneranno a casa e dovranno scegliere se continuare a fare quello che facevano o avere una vita onesta. Ciò è sempre molto complicato perché sono ragazzi in formazione in quanto, il carattere, fino a 21 anni, si forma. Qui sta la bravura dell’educatore nel far capire che le cose vanno in una certa maniera”.
Quali sono i vostri auspici per il futuro? In che modo chi lo desidera può aiutare la vostra opera?
“Ci auguriamo di salvare quanti più ragazzi possibili. Nell’ottica che non possiamo salvare tutti, ciò purtroppo è un dato di fatto, ma ci impegniamo affinché questo avvenga e i ragazzi che inseriamo, sia alla Cardoncelleria ma anche sui 26 ettari confiscati alla mafia che gestiamo a Valenzano, in provincia di Bari, diventi un fattore fondamentale per vivere un mondo migliore rispetto a quelle che sono le possibilità dei ragazzi e di noi stessi. Per sostenere la cooperativa, l’elemento importante è rappresentato dall’acquisto dei nostri prodotti poichè non abbiamo nessun centro diurno o altre attività che vengono finanziate dalla regione. L’unica fonte di sostentamento è appunto l’acquisto degli stessi. In carcere ora abbiamo finito di produrre i funghi, stiamo per essiccare i pomodori e, acquistandoli, si può dare una mano affinché il progetto non rappresenti solamente un’utopia, ma qualcosa di veramente concreto per tutti coloro che partecipano all’attività della cooperativa”.