A San Marco in Lamis arriva di riflesso la brezza marina, filtrata dai rilievi del promontorio garganico. Un territorio ancestrale, che vive incastonato nel suo Parco nazionale, con le sue tradizioni e la sua vita scandita regolarmente fra i ritmi della cittadina e l’operosità delle masserie poco fuori. Una quotidianità interrotta dall’arrivo, irruento e inatteso, del virus che spaventa ormai da settimane l’Italia intera e che a San Marco si è manifestato silenzioso, provocando una vittima e richiedendo alla cittadinanza intera di osservare un periodo di precauzione assoluta. Naturalmente nel rispetto delle disposizioni delle autorità. Ma il rallentamento della vita quotidiana imposto dal coronavirus non è stato sufficiente a spegnere il senso di comunità di una città che, nonostante l’emergenza, vuole continuare ad aggrapparsi alla propria identità. Per questo don Matteo Ferro, giovane parroco della comunità pastorale San Bernardino-Addolorata, ha messo a disposizione dei suoi fedeli lo strumento dei social, una volta tanto strumento di professione della Parola, svolgendo regolarmente la Santa Messa ma in diretta su Facebook: “Abbiamo preso questa decisione – ha raccontato a Interris.it – per dire che noi sacerdoti siamo vicini alla gente, con la preghiera e anche negli atti concreti”.
Don Matteo, la sua iniziativa ha significato molto per il suo paese, San Marco in Lamis. Ed è stato inoltre l’esempio di una Chiesa che non cede il passo alla paura…
“Assieme all’altro sacerdote, don Michele, abbiamo deciso di fare questa messa online proprio per far sentire al popolo che noi, come sacerdoti, ci siamo, rispettiamo le norme che ci danno le autorità competenti ma, allo stesso tempo, siamo vicini con la preghiera e fisicamente. Io esco, se c’è bisogno di qualcosa mi metto a disposizione, ovviamente tenendo fede alle norme vigenti. Cerchiamo di rassicurare le persone, soprattutto gli anziani che ci chiamano per sapere notizie ufficiali su questa emergenza. Diciamo loro di rispettare le norme e di stare tranquilli perché tutto passerà”.
E’ stato anche un modo per rispettare la vocazione fondante della Chiesa, quella di farsi prossima ai propri fedeli nei momenti di bisogno…
“Per questo sul mio profilo ho scritto che ‘siamo in trincea’. Sembra una guerra invisibile. Noi non abbandoniamo la battaglia, ma siamo in trincea schierati perché tutti insieme si vince questa battaglia. Nella messa che ho svolto in diretta Facebook mi sono comportato come se ci fossero i fedeli anche se eravamo solo un paio di persone presenti: dicevo di stare uniti, combattere sia il coronavirus come malattia, sia il coronavirus ‘spirituale’. E soprattutto dicevo che non bisogna cadere nel fideismo, nel fondamentalismo… Niente di tutto questo. Rispettiamo le norme delle autorità perché si può fare anche la preghiera in rete. Infatti c’erano molte visualizzazioni durante la diretta”.
In un momento storico in cui lo strumento dei social corre troppe volte il rischio farsi veicolo di disinformazione, questa è un’occasione per far capire che può essere anche un mezzo importante per la fede…
“Sì. Io mi sono laureato in pedagogia e nella triennale ho fatto una tesi proprio sulla Chiesa e i social. Questi strumenti possono essere un buon mezzo di informazione nella disinformazione generale. Infatti non ho fatto nessun post prima, attendendo le decisioni delle autorità, poi ho preso a mia volta la decisione di fare questa messa online. Perché c’è molta cattiva informazione, quindi bisogna andare cauti, uniti… Se si può uscire perché non farlo? Basta attenersi alle disposizioni di prevenzione. Come io sono ‘esperto’ nella funzione religiosa, il dirigente Asl o il sindaco è esperto su come ci si comporta in questi casi di emergenza nazionale”.
San Marco in Lamis ha vissuto, anche di recente, dei momenti molto difficili… Affrontando tali prove, ha riscontrato una perdita di fiducia nella fede oppure, al contrario, i cittadini ne hanno tratto forza e coraggio?
“Noi di San Marco siamo un popolo abbastanza unito. E’ vero che abbiamo avuto tante difficoltà negli ultimi anni, dall’alluvione agli omicidi avvenuti ma ne siamo usciti sempre insieme, vittoriosi e più uniti di prima. E nell’omelia ho ripetuto che tutto questo, nonostante sia un momento negativo, ci unisce. Non sono frasi fatte, io ci credo davvero: siamo usciti da situazioni davvero difficili, perché non possiamo farlo anche stavolta? Tanto non dobbiamo fare niente: stare ritirati e uscire quando ce lo permettono. Per quanto riguarda il fatto della fede, quello di San Marco è un popolo credente, magari anche coloro che non vanno a messa vogliono dimostrare la fede, soprattutto verso il culto della Madonna Addolorata: molti non vanno a messa la domenica ma il venerdì della Madonna vanno a far visita all’Addolorata. Si vive anche in questo contesto la fede a San Marco”.
La sua iniziativa diventerà una costante nel periodo dell’emergenza?
Vediamo giorno per giorno. Ora c’è il venerdì della Madonna, in cui solitamente la chiesa è strapiena. Pensiamo di fare una nuova diretta Facebook cantando lo Stabat Mater, visto che il popolo è molto devoto alla Madonna dell’Addolorata. Vogliamo entrare nelle case e nel cuore delle persone attraverso i social.
E magari anche un’occasione per avvicinare alla Messa le generazioni più giovani. O a San Marco esiste già l’affezione alla fede da parte dei ragazzi?
“Diciamo di sì, a San Marco i giovani sono vicini alla fede, soprattutto per quanto riguarda la solidarietà. Vengono a messa ma se si tratta di abbinarla alla solidarietà preferiscono fare entrambe le cose”.